La
consapevolezza che l’amore presuppone il rispetto dell’altro: un processo
culturale che vede protagonista proprio il mondo femminile
di Maria Grazia Passamano *
(Intervento di Angelo Perrone)
(ap) Le pagine dei giornali mostrano puntualmente le vecchie fotografie
raccolte negli album di famiglia: visi sorridenti e rassicuranti di
mariti, compagni, fidanzati accanto alle donne amate, e del tutto ignare del
loro futuro; magari anche con qualche pargolo in braccio, per completare il
quadretto edificante.
Famiglie tanto felici e senza screzi, secondo la versione di amici e
parenti compiacenti di lui, increduli davanti alle tragedie, di cui ovviamente non
hanno mai colto alcun segnale premonitore.
E’ il rituale che accompagna di solito la notizia che una donna è stata
abusata, oppure trucidata, o perseguitata e maltrattata, ed emerge che il
motivo è sempre lo stesso: aver detto un “no di troppo” al proprio partner, che
diceva di amarla tanto.
Troppe mani maschili si accaniscono sui corpi delle donne, pronte a
sferrare decine di coltellate, a colpire a mani nude, ad appiccare loro il
fuoco, a gettarle da un ponte, a nasconderle in qualche fosso per renderle
introvabili. Una furia devastante, rivolta negli scopi e nei modi alla distruzione
morale e materiale dell’altro e persino alla eliminazione di ogni sua traccia
fisica.
E’ anche offensivo parlare in questi casi di amore, farne comunque un
labile accenno, interrogarsi sulle sue dinamiche o anche degenerazioni. Gli
orizzonti mentali sono radicalmente diversi. L’essenza stessa dell’amore è
intrisa profondamente del valore del rispetto dell’altro, delle sue scelte, dei
suoi diritti come essere umano. Anche e soprattutto davanti ad un rifiuto, pur
percepito come doloroso da chi lo subisce. E perciò è incompatibile con
l’istinto di possedere, che non può mai rivolgersi verso una persona, perché
lede la sua inviolabile libertà di determinazione.
Non è solo una “questione di genere” destinata ad aprire un conflitto
pur grave tra uomini e donne, né può bastare, per capire e spiegare, la
coincidenza – che peraltro sussiste ed è visibile – tra aggressori e mondo maschile.
Quando si trasforma l’amore in possesso, c’è una mistificazione del sentimento
che affonda le sue radici in un capovolgimento di valori riguardante l’intera
società, perché è negato il diritto all’autonomia e alla dignità della persona.
Una deriva di pensieri e comportamenti determinata da immaturità culturale e
sociale.
Le tragedie, spesso annunciate, non riguardano dunque soltanto il
carnefice (uomo) e la vittima (donna), perché ferito e lacerato è il tessuto
sociale nel suo complesso, e la coscienza sociale tutta né è profondamente turbata.
Oltre cento donne in Italia ogni anno vengono uccise da uomini,
quasi sempre quelli che sostengono di amarle. Negli ultimi dieci anni
le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 in famiglia. Sono 3
milioni e 466 mila in Italia, secondo l’Istat, le donne che nell’arco della
propria vita hanno subito stalking,
ovvero atti persecutori da parte di qualcuno, il 16% delle donne
tra i 16 e i 70 anni. Questi numeri non possono non farci riflettere.
Purtroppo molte volte le donne hanno denunciato e chiesto aiuto,
ma non ci sono state risposte adeguate dal punto di vista istituzionale. Oltre
alle gravi patologie di tipo psicologico che, nella maggior parte dei casi,
caratterizzano i comportamenti degli autori delle violenze, non si può negare
che alla base di tali condotte vi sia infatti, anche, un atteggiamento
culturale che si sostanzia nella negazione dell’altro come soggetto
indipendente.
Il meccanismo mentale alla base della pretesa di appropriazione è
quello di considerare l’altro come una proiezione di un nostro bisogno. La
spinta della pulsione riduce l’altro a strumento di soddisfacimento dell’individuo. Quello che
conta è dunque la soddisfazione della pulsione rispetto alla quale l’esistenza
particolare è totalmente indifferente. Il partner diviene
in tal modo una cosa sulla quale esercitare il nostro
dominio e attraverso cui soddisfare i nostri bisogni.
Una mancanza gravissima dei nostri tempi è la trascuratezza
riservata all’educazione sessuale e ai “discorsi intorno all’amore”. Le scuole
hanno bisogno di pedagogisti, di filosofi, di psicologi e di antropologi;
queste figure sono essenziali per sviscerare alcune problematiche complesse
come il rispetto di se stesso e dell’altro. È un errore gravissimo
pensare che la scuola sia solo un centro di nozioni, di voti e di esami.
Anche il bullismo nasce dalla sopraffazione, e dalla volontà di
annullare l’altro come centro di identità e di diversità. Bisogna educare al
rispetto dell’altro e tentare di sostenere e supportare i ragazzi che mostrano
maggiori difficoltà in tal senso. Nelle scuole è necessario parlare di
sessualità e di amore. C’è una confusione impressionante su questi temi.
Anche il mondo femminile è responsabile di questa cultura “del non
rispetto”. Una volta in un mio viaggio da Firenze verso Napoli incontrai una
donna napoletana molto bella di circa quarant’anni. In una telefonata, raccontò
a suo figlio di quanto lui fosse importante per lei, di quanto la sua presenza
avesse cambiato radicalmente la sua vita e poi aggiunse: “però fino a quando
non chiederai scusa alla tua ragazza per quel gesto da vigliacco che hai fatto,
io non ti rivolgerò più parola”. Aveva ragione.
Noi donne dobbiamo avere nel cuore le sorti delle altre donne.
Siamo responsabili di tutto ciò che sta accadendo. Una cultura maschilista e di
sopraffazione prende forma dove manca la donna. L’amore nasce dentro di noi e
attraverso di noi. Prima di dividere il mondo in donne vittime e uomini
carnefici pensiamo alla maniera indegna con la quale le politiche italiane ci
stanno rappresentando, al maschilismo latente che serpeggia nelle nostre anime,
prima di considerare gli uomini gli unici responsabili di tutti i mali del
mondo interroghiamoci sull’esempio che diamo ai nostri figli e alle nostre
figlie.
Molto dipende da noi, dal nostro modo di raccontare la nostra
femminilità e le nostre fragilità. Più che una guerra tra generi, si può
parlare di una forma di epidemia chiamata “Mancanza di rispetto per
l’altro”. Il rispetto dell’altro presuppone il guardare e l’osservare. Ricominciamo dalla cura di questo
valore, dal vivere le altre creature come una possibilità e non come una
pretesa, sostenendo chi è più in difficoltà ed educando alla consapevolezza che
l’amore può generarsi e crescere solo in una condizione di libertà e di
indipendenza.
La nostra non deve essere una guerra terminologica, (ministro/a, presidente/a), ma una battaglia culturale tesa a modificare le radici malate della nostra società e del rispetto nei confronti dell’altro e della donna in particolare. Il cambiamento può partire solo da noi e dalla “reinterpretazione” del concetto di “amore“.
La nostra non deve essere una guerra terminologica, (ministro/a, presidente/a), ma una battaglia culturale tesa a modificare le radici malate della nostra società e del rispetto nei confronti dell’altro e della donna in particolare. Il cambiamento può partire solo da noi e dalla “reinterpretazione” del concetto di “amore“.
* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
No, paragonare bullismo e femminicidio no, sostenere che " molto dipende da noi, dal nostro modo di raccontare la nostra femminilità " è inaccettabile, dichiarare che " una cultura maschilista e di sopraffazione prende forma dove manca una donna" è offensivo oltre che pericoloso...
RispondiEliminaPer fortuna c'è il commento al post che riequilibra tutto...grazie.