Macchine,
idee, persone: raccontare esperienze di vita
di Mariagrazia Passamano *
(Intervento di Angelo Perrone)
Nelle “Lettere al dottor G.” e nel “Diario di una diversa”, Alda
Merini racconta che nel profondo dell’inferno uno spiraglio di ritrovata
umanità fu la psicoterapia condotta all’interno del manicomio con il dottor G.,
il quale comprese che il modo più incisivo per aiutare la sua paziente potesse
essere quello di indurla a scrivere ancora, infatti mise a sua disposizione una
macchina da scrivere, convinto che la poesia potesse salvarla e così fu.
La macchina da scrivere come simbolo di vita, di strumento di
ritorno a se stessa e alla sua vocazione; come ausilio del suo fervore e mezzo
di libertà. La poesia come salvezza, come terapia, come unica soluzione per non
cedere di fronte a quella condizione di disumanizzazione. La cura del desiderio
è l’antidoto contro la malattia. È l’unico farmaco che ci può guarire e che ci
tiene lontani dai giochi insolenti, insidiosi e pericolosi della nostra mente. Thanatos è assenza
di desiderio, sinonimo di una vita che non diviene mai reale.
Non c’è niente che faccia più male dell’osservare le persone
lontane da se stesse e perse in salti acrobatici inutili. Non ferisce tanto il
non amore, la cattiveria, la mancanza di buon senso, ma la costatazione
dell’assenza del desiderio.
Ci piacerebbe sempre poter essere un po’ come la figura del Dott.
G. e fornire alle persone che incontriamo e che ci stanno a cuore quella
macchina da scrivere per risalire dagli inferi e per continuare a sognare.
(ap) Tasti scuri, rumorosi e resistenti alla
pressione delle dita, fogli di carta animati dall’ingranaggio metallico del
rullo, una presenza ingombrante e tuttavia così fascinosa sulla scrivania di
altri tempi: la macchina da scrivere richiama un’altra estetica ed una ben
diversa funzionalità rispetto ai moderni computer.
Lo sguardo, rivolto a quel rullo che attende paziente
di essere girato, è sempre fisso e perplesso, come oggi quello verso lo
schermo, mentre è alla ricerca del pensiero da esprimere, e alla sua forma più
compiuta. La carta però rende tutto più complicato: quando si usa la macchina
da scrivere è meglio trovare fin dall’inizio frasi già appaganti e definitive, che
non richiedano troppe correzioni o aggiustamenti. In mancanza dei tasti salvifici
di delete o di copia-incolla, le cancellazioni sono manuali, macchiano il
foglio, ci rammentano visivamente il panico delle idee.
Una gestualità più articolata e complessa di
quella usata davanti ai computer, finalizzata però a realizzare lo stesso
obiettivo finale: fare scrittura. E a inseguire il medesimo sogno: galoppare
verso l’ignoto. La parola non tollera di essere trattenuta troppo a lungo, né tanto
meno mutilata: affiora spontanea e immediata, come da fresca sorgente in
altura, esce allo scoperto percorrendo sentieri che non sappiamo prevedere,
diventa talvolta cantore di istanti di felicità, o di struggenti dolori;
dell’effimero e dell’eterno sfuggente.
L’immaginazione non permette di dormire
quieti, risveglia e alimenta corpo e mente, rende audaci e sfrontati, fa
vincere la paura di essere respinti, e di rimanerne delusi. Si è mossi da
necessità, da interesse, o soltanto da sete di conoscere. Ma è l’amore racchiuso
nel cuore esitante che esige di diventare pagina scritta, traccia esile
dell’esistenza, prima di disperdersi nell’aria.
Quasi ospite inatteso, è una voce che risuona
all’infinito quel desiderio di intrecciare tra loro delle parole, perché ne
nasca un segno, si crei una forma, risuoni da qualche parte l’eco di ciò che si
è scoperto ed ammirato, aiutando altri, in un patto un po’ folle tra chi scrive
e chi legge, a comprendere la bellezza incontrata almeno una volta nella vita, e
a intraprendere una veloce corsa verso l’ignoto.
E’ fatale quel legame, impastato di singolare
empatia, tra la macchina da scrivere e la passione di raccontare; tra lo
strumento scelto per esprimere quel sentimento, oggi un prodigio tecnologico, e
l’intuizione magica che un giorno ci ha sorpresi, accasandosi presso di noi
come viandante in cammino perenne, dopo che abbiamo dischiuso fugacemente la porta. A
dispetto di ogni timore, i nostri pensieri abitano finalmente un’atmosfera rassicurante
e incantata, e scopriamo con sorpresa di trovarci in un luogo che ci è
familiare.
E’ il nostro rifugio segreto, con la comoda
poltrona accanto alla finestra che dà sul viale, il cibo gustato durante un
momento felice, in sottofondo la musica che ci appassionava da ragazzi. Dove, poco
prima, abbiamo accolto, in una giornata burrascosa di pioggia, un cagnolino impaurito
che si era smarrito per le strade della città.
* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
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