Racconto
di Lucia Bolognani
di Lucia Bolognani
Quando
il sogno di un viaggio è rimasto per anni in un cassetto, non è facile spiegarsene
le ragioni. La partenza è sempre una grande agitazione, mescolata ad una buona
dose di vero e proprio panico. Finalmente il giorno arriva e, mentre sali
sull’aereo, ti chiedi se è tutto vero, oppure ancora un sogno.
Seduta
comodamente al mio posto, vicino al finestrino, mi lascio invadere da mille
domande: sarà come mi aspetto? O sarò delusa perché la mia immaginazione ha superato
ciò che troverò? I preparativi frenetici che hanno preceduto la partenza ed il
super lavoro quotidiano hanno un po’ confuso il valore che avevo dato a questo
viaggio.
Le
ore di volo sono state molte, ma non sono sembrate così pesanti. Improvvisamente
il comandante di bordo annuncia che stiamo per atterrare e mi sto dando un
pizzicotto per rassicurarmi che è tutto reale.... questa volta.
Concentratissima a captare tutte le sensazioni che può darmi questo viaggio,
quasi non realizzo che sono finalmente a New York, la Big Apple.
Il
mio primo pensiero è sempre stato: che odore avrà l’aria di New York? Perché
deve per forza avere un odore particolare, non necessariamente cattivo, ma
diverso, inconfondibile. Uscita dall’aeroporto, è quasi buio, l’aria non è
particolare e mi chiedo il perché, in tutti questi anni, mi sono fissata con
questa cosa.
Il tratto percorso con il taxi, per raggiungere la
casa dei miei amici che mi ospiteranno, sembra più che altro un inseguimento da
servizi segreti, alla 007. Le luci così in alto, sopra i numerosi bridge di
Manhattan, sono un flash che mi rimette subito nell’assetto di attenzione,
nonostante il jet lag stia per produrre i suoi effetti.
Ci siamo! Finalmente le valigie si possono abbandonare
in un lato della stanza, ma non riesco a sedermi per ora; i miei amici
insistono per farmi salire sul tetto del loro palazzo di quattordici piani, per
mostrarmi una cosa. Non comprendo la necessità di salire sul tetto, dopo il
viaggio interminabile e la corsa in taxi, ma dopo tutto non voglio sembrare
sgarbata, dunque, li seguo.
Quando
improvvisamente la porticina sul terrazzo si apre, capisco che ciò che avevo
immaginato non era nulla in confronto a quello che ho davanti agli occhi. Ora
la parola “skyline” non è una semplice espressione, quasi astratta, è molto di
più. L’atmosfera che si respira da lassù lascia davvero senza fiato. Incollata
al parapetto, con il naso all’insù, trattengo il fiato. Il ponte di Brooklyn,
maestoso, riflette le sue luci sull’Hudson River, e tutti attorno i grattacieli
illuminati di Manhattan, l’Empire State Building, nella notte sembrano essere
incollati su una carta crespa di colore arancio acceso.
Mi lascio accarezzare
dalla leggera brezza che da lassù mi avvolge le guance e piacevolmente mi
coccola, mentre ammiro quel panorama da favola.
Che
dire, come prima serata, nulla di ciò che avevo immaginato è accaduto; ma molto
di ciò che non pensavo ha scosso il mio animo.
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