venerdì 14 febbraio 2020

Al tempo della globalizzazione

L'atelier, di Antoine Raspal
Piccolo è bello? Il lavoro artigianale a confronto con l'industria, la globalizzazione. Chiudono molte attività, come le sartorie. Una crisi diffusa in Italia, paese delle eccellenze nel design, nella moda, nell’artigianato di qualità. La perdita di valori civili e di esperienze umane

 (ap) Chiudono i battenti tante piccole sartorie. Non sono gli unici lavori artigianali a passarsela male. Una lenta e inesorabile crisi travolge tanti piccoli esercenti, come ferraioli, corniciai, alimentari, farmacie storiche. Vengono rimosse insegne che evocano personaggi di altri tempi, professionalità di una volta, e qualche ricordo personale.
Quella volta in cui ci siamo fatti riparare un pantalone strappato a cui tenevamo particolarmente? O quell’altra che avevamo da incorniciare una foto indimenticabile in modo non banale? O ancora quella in cui il farmacista di fiducia, con cui ci confidavamo sui problemi di salute, ci preparò un medicinale con effetti miracolosi?
Un elenco di chiusure, da aggiornare ogni giorno. C’era una volta il tale che impagliava sedie o ceste. L’altro con un assortimento incredibile di sole maniglie, per ogni uso. L’altro ancora che ti prendeva strane misure per tagliarti una giacca, mai pensato che fosse tanto difficile confezionare maniche proporzionate al resto.
Hanno fatto il loro tempo, non hanno più futuro. Per un po’ hanno resistito convinti di farcela. Ora sono costretti a gettare la spugna davanti alle tasse, all’invasione delle rosticcerie a buon mercato, al turismo di massa insensibile alle ricercatezze, alla pressione della grande distribuzione. Sono rimasti i vecchi. I più giovani rivolgono lo sguardo altrove. Se non si spostano, cercano impieghi differenti.
Il sapere del sarto, antico e prezioso, trova strade diversi dalle piccole botteghe di una volta, dove si andava per farsi confezionare un vestito nuovo di stagione, per una riparazione, un orlo, un abito da restringere o allargare al variare del peso. Lavori che raccontano un’epoca diversa perché sono cambiate le esigenze e differente è il valore del denaro.
Oggi le piccole cose costano troppo, impensabile farsi riparare qualcosa, si fa prima a comperarsi tutto nuovo. Con i prezzi stracciati che circolano. Una concorrenza che uccide. Hanno successo invece le sartorie del lusso, i grandi gruppi che fanno economie di scala, come si dice, e, abbassando i costi, vendono tanto.
Magari, se di valore, assorbono le piccole realtà, incapaci da sole di reggere gli urti del mercato. E valorizzano le capacità ancora rimaste sul territorio. Impiegano persone che smettono di lavorare in proprio, per entrare in strutture molto più grandi. Qualcosa però si perde.
Taglia e cuci, sembrava solo questo il mestiere del sarto, ma poi c’erano anche il gusto, la scelta dei tessuti, gli accostamenti, i modelli. Non solo ago e filo. Le macchine sono servite parecchio e hanno aiutato a sveltire, velocizzare. Ma poi c’è sempre bisogno delle rifiniture a mano, il vero banco di prova della qualità del prodotto, e della soddisfazione del cliente.
Capo per capo, le mani sulla stoffa, senza occhiali, ora che la vista con gli anni è cambiata. Tanti i particolari da curare, dalle asole alle pattine, dallo scollo ai rever, quanti sono i termini strani per raccontare la fatica.
Un vocabolario sterminato, a costituire un linguaggio esclusivo di categoria. Da iniziati. Non custodisce solo i segreti della professione. È il segnale di una competenza e di una capacità. Sapersi destreggiare in quel lavoro manuale. Impossibile sbagliare, pena il discredito nel quartiere, la perdita del cliente e del guadagno. Quel sarto non vale proprio nulla, lavora con i piedi.
Certo l’abito può essere troppo stretto o troppo largo, magari hai preso male le misure, oppure il cliente nel frattempo ha fatto qualche stravizio a tavola o ha pensato di mettersi a dieta per impressionare la sua bella. La colpa è sempre tua, non puoi consegnare il vestito a tempo giusto, anche smontare l’abito e rifare tutto non è una buona soluzione.
L’apprendistato ha richiesto tempo e impegno, non è stato facile o breve. Presso chi il mestiere lo conosceva bene e lo praticava da tempo. E aveva tanti clienti, che venivano ad ogni cambio di stagione, o per lavoretti più modesti, e portavano con loro gli altri della famiglia, o gli amici. Clientela attenta ed esigente, che seguiva la moda e guardava le immagini sulle riviste patinate.
Abiti così belli addosso a quei personaggi famosi, perché non dovevano andare bene anche alla gente comune? Facevano fare un’altra figura, tornavano utili nei rapporti sociali, persino in quelli personali. Vuoi mettere portare a cena una bella signora con un abbigliamento alla moda? Ma forse è stato proprio allora che le cose hanno cominciato a prendere una brutta piega.
Va bene la clientela esigente, ma le bizzarrie della moda? Ad ogni stagione si cambia. Senza un motivo o una necessità. Non vanno più bene i pantaloni stretti, ora devono essere larghi. O viceversa. Le giacche non possono avere tre bottoni, ne bastano – anzi sono necessari – solo due. E poi la lunghezza, suvvia, come è possibile tollerare quella degli anni passati? Si è out, se non ci adegua, e va fatto in fretta. Ora è imprescindibile il fashion. Non la comodità. Lo stare bene dentro i propri panni. Poter lavorare o fare una passeggiata in tranquillità.
Serve quel disegno particolare che ti rende elegante, che ti dà persino un tocco di sensualità. Una volta non si sapeva nemmeno cosa fossero tutte queste cose. Ora ci pensano i testimonial, o gli influencer a dirtelo. Li chiamano così, e sembra chissà cosa, ma sono i pubblicitari a pagamento dei grandi marchi. Tutto qui, però ti vogliono far capire come devi andare vestito se vuoi essere “in” e naturalmente come, tu, piccolo sarto, devi lavorare.
Il bello è che non lo sai in anticipo, non hai tempo per studiare le cose, prepararti e adeguarti di conseguenza. Vieni a sapere che tutto cambia, quando fanno la sfilata e i soloni della moda salgono sul palco per spiegarti le cose. Quelli delle sartorie del lusso ci hanno pensato in anticipo e hanno avuto il tempo di provare. E di sbagliare magari.
Eppure tu, sempre il piccolo sarto, te ne sei reso conto e ci provi a stare al passo dei tempi. Hai affinato il colpo d’occhio, hai carpito i segreti di un abito soltanto dando uno sguardo a quelle stesse immagini che affascinano i tuoi clienti.
Mentre gli altri rimangono conquistati dalle pieghe, dai ricami, tu hai imparato a fatica. C’è voluto un certo sforzo, ma ti sei messo alla prova e qualcosa hai portato a casa. Sai dove si mettono le mani per avere quel risultato, o almeno qualcosa che gli somigli molto. Perché i clienti rimangono esigenti, vogliono cose uniche e originali, anche se tu ti sei servito delle pagine patinate, di You Tube e degli spot per venirne a capo. Non hai dietro di te dei direttori artistici, degli stilisti.
Anche tu ti sei modernizzato, e con l’aiuto di figli e nipoti hai imparato a navigare, che strano termine per dire che sai pigiare i bottoni di una tastiera. Dopo l’ago e il filo, l’uso delle macchine, il gusto personale più affinato, il sapere è cresciuto: stare al passo dei tempi, seguire i gusti della clientela, mantenere rapporti di confidenza con ciascuno che oltrepassi la porta della tua bottega, come avveniva una volta. Perché vestire ha sempre il suo fascino, detto in italiano.
Questo però sembra non bastare, sono cose che non hanno prezzo per te, ma per gli altri sono di poco conto. Sono aumentate le tasse, il proprietario del locale vuole un affitto esorbitante perché altrimenti c’è pronto un nuovo inquilino che ci farà una rosticceria puzzolente per i turisti che vengono a fiotti da Oriente, e soprattutto è arrivato lui il signor Amazon, a vendere sotto il tuo naso prodotti a prezzo stracciato, più alti dei tuoi. Non ce la fai a competere, perché chi fa quei prodotti non paga le tasse, e non si preoccupa della salute, tra solventi e sporcizia.
E’ arrivato il momento di smontare la tua insegna, quella che hai ereditato da tuo padre e, prima, da tuo nonno, dove, con il tuo nome, è scritta un po’ tutta questa storia. Anche se troverai il modo di sopravvivere altrove, infatti parecchi sono venuti a cercarti, e magari di continuare a fare il mestiere che ami, qualcosa non sarà più come prima.

2 commenti:

  1. Grazie per la citazione,
    buona giornata e buon lavoro
    Loris

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  2. Sono sempre alla ricerca del "piccolo".
    Piccolo nell'acquistare gli alimenti dal negozio di alimentari.
    Piccolo nel farmi preparare una camicia o ==un vestito.
    Siamo in pochi però: la maggior parte della massa non acquista ma consuma.
    ===
    Non è necessario competere con Amazon, ed è controproducente.
    Quando parlo di marketing sostengo sempre che: "siamo 60 milioni di persone (in Italia) e 2 miliardi nel mondo (con potere spendente). Sono in mezzo a quelle persone lì il nostro mercato e il nostro spazio.
    È finito il tempo di tirare sù una saracinesca ed aspettare che i clienti entrino. Ora dobbiamo far capire che abbiamo qualcosa di speciale per loro."

    Per un mio cliente ho trasformato un suo punto debole in un vantaggio. Lui spedisce in 10 giorni (Amazon in 1 giorno) eppure i clienti apprezzano moltissimo la strategia che ho adottato. Semplicemente perché ho spostato il focus da me a loro.

    Non è facile e non è per tutti, sicuro, ma è l'unico modo per rimanere competitivi.

    [my two cents]

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