L'atelier, di Antoine Raspal |
Piccolo è bello? Il lavoro artigianale a confronto con l'industria, la
globalizzazione. Chiudono molte attività, come le sartorie. Una crisi diffusa in Italia, paese delle eccellenze nel design, nella moda,
nell’artigianato di qualità. La perdita di valori civili e di esperienze umane
(ap) Chiudono i
battenti tante piccole sartorie. Non sono gli unici lavori artigianali a
passarsela male. Una lenta e inesorabile crisi
travolge tanti piccoli esercenti, come ferraioli, corniciai, alimentari,
farmacie storiche. Vengono rimosse insegne che evocano personaggi di altri
tempi, professionalità di una volta, e qualche ricordo personale.
Quella volta
in cui ci siamo fatti riparare un pantalone strappato a cui tenevamo
particolarmente? O quell’altra che avevamo da incorniciare una foto
indimenticabile in modo non banale? O ancora quella in cui il farmacista di
fiducia, con cui ci confidavamo sui problemi di salute, ci preparò un medicinale
con effetti miracolosi?
Un elenco di
chiusure, da aggiornare ogni giorno. C’era una volta il tale che impagliava
sedie o ceste. L’altro con un assortimento incredibile di sole maniglie, per
ogni uso. L’altro ancora che ti prendeva strane misure per tagliarti una
giacca, mai pensato che fosse tanto difficile confezionare maniche proporzionate
al resto.
Hanno fatto il loro tempo, non hanno più futuro. Per un po’
hanno resistito convinti di farcela. Ora sono costretti a gettare la spugna
davanti alle tasse, all’invasione delle rosticcerie a buon mercato, al turismo
di massa insensibile alle ricercatezze, alla pressione della grande distribuzione.
Sono rimasti i vecchi. I più giovani rivolgono lo sguardo altrove. Se non si
spostano, cercano impieghi differenti.
Il sapere del sarto, antico e prezioso, trova strade diversi
dalle piccole botteghe di una volta, dove si andava per farsi confezionare un
vestito nuovo di stagione, per una riparazione, un orlo, un abito da
restringere o allargare al variare del peso. Lavori che raccontano un’epoca
diversa perché sono cambiate le esigenze e differente è il valore del denaro.
Oggi le piccole cose costano troppo, impensabile farsi
riparare qualcosa, si fa prima a comperarsi tutto nuovo. Con i prezzi
stracciati che circolano. Una concorrenza che uccide. Hanno successo invece le
sartorie del lusso, i grandi gruppi che fanno economie di scala, come si dice,
e, abbassando i costi, vendono tanto.
Magari, se di valore, assorbono le
piccole realtà, incapaci da sole di reggere gli urti del mercato. E valorizzano
le capacità ancora rimaste sul territorio. Impiegano persone che smettono di
lavorare in proprio, per entrare in strutture molto più grandi. Qualcosa però si
perde.
Taglia e cuci, sembrava solo questo il mestiere del sarto,
ma poi c’erano anche il gusto, la scelta dei tessuti, gli accostamenti, i
modelli. Non solo ago e filo. Le macchine sono servite parecchio e hanno
aiutato a sveltire, velocizzare. Ma poi c’è sempre bisogno delle rifiniture a
mano, il vero banco di prova della qualità del prodotto, e della soddisfazione
del cliente.
Capo per capo, le mani sulla stoffa, senza occhiali, ora che la
vista con gli anni è cambiata. Tanti i particolari da curare, dalle asole alle
pattine, dallo scollo ai rever, quanti sono i termini strani per raccontare la
fatica.
Un vocabolario sterminato, a costituire un linguaggio
esclusivo di categoria. Da iniziati. Non custodisce solo i segreti della
professione. È il segnale di una competenza e di una capacità. Sapersi
destreggiare in quel lavoro manuale. Impossibile sbagliare, pena il discredito
nel quartiere, la perdita del cliente e del guadagno. Quel sarto non vale
proprio nulla, lavora con i piedi.
Certo l’abito può essere troppo stretto o
troppo largo, magari hai preso male le misure, oppure il cliente nel frattempo
ha fatto qualche stravizio a tavola o ha pensato di mettersi a dieta per
impressionare la sua bella. La colpa è sempre tua, non puoi consegnare il
vestito a tempo giusto, anche smontare l’abito e rifare tutto non è una buona
soluzione.
L’apprendistato ha richiesto tempo e impegno, non è stato
facile o breve. Presso chi il mestiere lo conosceva bene e lo praticava da
tempo. E aveva tanti clienti, che venivano ad ogni cambio di stagione, o per
lavoretti più modesti, e portavano con loro gli altri della famiglia, o gli
amici. Clientela attenta ed esigente, che seguiva la moda e guardava le
immagini sulle riviste patinate.
Abiti così belli addosso a quei personaggi
famosi, perché non dovevano andare bene anche alla gente comune? Facevano fare
un’altra figura, tornavano utili nei rapporti sociali, persino in quelli
personali. Vuoi mettere portare a cena una bella signora con un abbigliamento
alla moda? Ma forse è stato proprio allora che le cose hanno cominciato a
prendere una brutta piega.
Va bene la clientela esigente, ma le bizzarrie
della moda? Ad ogni stagione si cambia. Senza un motivo o una necessità.
Non vanno più bene i pantaloni stretti, ora devono essere larghi. O viceversa.
Le giacche non possono avere tre bottoni, ne bastano – anzi sono necessari –
solo due. E poi la lunghezza, suvvia, come è possibile tollerare quella degli
anni passati? Si è out, se non ci adegua, e va fatto in fretta. Ora è
imprescindibile il fashion. Non la comodità. Lo stare bene dentro i propri
panni. Poter lavorare o fare una passeggiata in tranquillità.
Serve quel
disegno particolare che ti rende elegante, che ti dà persino un tocco di
sensualità. Una volta non si sapeva nemmeno cosa fossero tutte queste cose. Ora
ci pensano i
testimonial, o gli influencer a dirtelo. Li chiamano così, e sembra chissà
cosa, ma sono i pubblicitari a pagamento dei grandi marchi. Tutto qui, però ti
vogliono far capire come devi andare vestito se vuoi essere “in” e naturalmente
come, tu, piccolo sarto, devi lavorare.
Il bello è che non lo sai in anticipo, non hai tempo per
studiare le cose, prepararti e adeguarti di conseguenza. Vieni a sapere che
tutto cambia, quando fanno la sfilata e i soloni della moda salgono sul palco per
spiegarti le cose. Quelli delle sartorie del lusso ci hanno pensato in anticipo
e hanno avuto il tempo di provare. E di sbagliare magari.
Eppure tu, sempre il
piccolo sarto, te ne sei reso conto e ci provi a stare al passo dei tempi. Hai
affinato il colpo d’occhio, hai carpito i segreti di un abito soltanto dando
uno sguardo a quelle stesse immagini che affascinano i tuoi clienti.
Mentre gli altri rimangono conquistati dalle pieghe, dai
ricami, tu hai imparato a fatica. C’è voluto un certo sforzo, ma ti sei messo
alla prova e qualcosa hai portato a casa. Sai dove si mettono le mani per avere
quel risultato, o almeno qualcosa che gli somigli molto. Perché i clienti
rimangono esigenti, vogliono cose uniche e originali, anche se tu ti sei
servito delle pagine patinate, di You Tube e degli spot per venirne a capo. Non
hai dietro di te dei direttori artistici, degli stilisti.
Anche tu ti sei modernizzato, e con l’aiuto di figli e
nipoti hai imparato a navigare, che strano termine per dire che sai pigiare i
bottoni di una tastiera. Dopo l’ago e il filo, l’uso delle macchine, il gusto
personale più affinato, il sapere è cresciuto: stare al passo dei tempi,
seguire i gusti della clientela, mantenere rapporti di confidenza con ciascuno
che oltrepassi la porta della tua bottega, come avveniva una volta. Perché
vestire ha sempre il suo fascino, detto in italiano.
Questo però sembra non bastare, sono cose che non hanno prezzo
per te, ma per gli altri sono di poco conto. Sono aumentate le tasse, il
proprietario del locale vuole un affitto esorbitante perché altrimenti c’è
pronto un nuovo inquilino che ci farà una rosticceria puzzolente per i turisti
che vengono a fiotti da Oriente, e soprattutto è arrivato lui il signor Amazon,
a vendere sotto il tuo naso prodotti a prezzo stracciato, più alti dei tuoi.
Non ce la fai a competere, perché chi fa quei prodotti non paga le tasse, e non
si preoccupa della salute, tra solventi e sporcizia.
E’ arrivato il momento di smontare la tua insegna, quella
che hai ereditato da tuo padre e, prima, da tuo nonno, dove, con il tuo nome, è
scritta un po’ tutta questa storia. Anche se troverai il modo di sopravvivere
altrove, infatti parecchi sono venuti a cercarti, e magari di continuare a fare
il mestiere che ami, qualcosa non sarà più come prima.
Grazie per la citazione,
RispondiEliminabuona giornata e buon lavoro
Loris
Sono sempre alla ricerca del "piccolo".
RispondiEliminaPiccolo nell'acquistare gli alimenti dal negozio di alimentari.
Piccolo nel farmi preparare una camicia o ==un vestito.
Siamo in pochi però: la maggior parte della massa non acquista ma consuma.
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Non è necessario competere con Amazon, ed è controproducente.
Quando parlo di marketing sostengo sempre che: "siamo 60 milioni di persone (in Italia) e 2 miliardi nel mondo (con potere spendente). Sono in mezzo a quelle persone lì il nostro mercato e il nostro spazio.
È finito il tempo di tirare sù una saracinesca ed aspettare che i clienti entrino. Ora dobbiamo far capire che abbiamo qualcosa di speciale per loro."
Per un mio cliente ho trasformato un suo punto debole in un vantaggio. Lui spedisce in 10 giorni (Amazon in 1 giorno) eppure i clienti apprezzano moltissimo la strategia che ho adottato. Semplicemente perché ho spostato il focus da me a loro.
Non è facile e non è per tutti, sicuro, ma è l'unico modo per rimanere competitivi.
[my two cents]