Donna Rotunno, il nuovo
difensore-donna di Harvey Weinstein, accusato di
stupro e molestie, sta attuando una condotta aggressiva contro
le presunte vittime. Un’idea muscolare della giustizia e una concezione del femminile maschilista, centrata sul potere
(ap*) Molti se
l’attendevano, per la notorietà del protagonista e delle sue presunte vittime, da
Gwyneth Paltrow a Angelina Jolie, alla nostra Asia
Argento, ma forse non fino a questo punto. Non mancano sorprese e colpi di scena nel
processo per
stupro e violenze sessuali a carico di Harvey Weinstein, in corso a New
York. Le battute iniziali destano curiosità, e fanno riflettere.
E’ accaduto per
esempio che, nel corso della sua testimonianza in aula, Jessica
Mann, una delle parti lese (accusa il produttore di aver abusato di lei nel
2013) sia scoppiata in un pianto irrefrenabile. Era incalzata energicamente dal
nuovo avvocato della difesa, Donna Rotunno, tanto che il giudice non ha visto alternative,
e ha dovuto sospendere il processo rinviandolo ad altra data, per dar modo alle
teste di riprendersi. Impossibile continuare in quelle condizioni.
Efficacia delle
domande difensive, potenza dirompente della nuova strategia del magnate di Hollywood
(che ha già cambiato tre avvocati), fragilità delle deposizioni accusatrici? Intanto,
come si è arrivati a questo? Molte novità hanno accompagnato l’inizio di un processo
che rappresenta il simbolo della campagna delle donne contro gli abusi sessuali.
Erano state diverse decine le attrici, le aspiranti tali, le dipendenti della società
di produzione, ad accusare Weinstein di abusi e molestie sessuali. Aveva
approfittato del suo potere, perché era uno dei più influenti produttori di
Hollywood. Un ruolo pesante nel mondo cinematografico americano. Da lui poteva
dipendere il successo o il fallimento di chiunque.
Il caso, come si
sa, ha innestato reazioni a catena, non solo nello spettacolo ma in tanti
settori. Persino all’interno dell’Accademia di Svezia, che per uno scandalo del
genere ha rinunciato ad assegnare alcuni premi Nobel. Tante donne si sono fatte
avanti e hanno denunciato quanto avevano subìto nel corso della loro carriera. Si
è affermato il movimento femminista denominato Me Too. Sotto accusa i
meccanismi di potere, la prepotenza maschilista, la strumentalizzazione delle
relazioni a fini sessuali. Un’idea di società caratterizzata da diseguaglianze
di genere e da violenze.
Weinstein, chiamato
così pesantemente in causa, non aveva potuto evitare né il licenziamento dalla
società Miramax che aveva contribuito a fondare né la fine del matrimonio. Uno
scandalo devastante anche sul piano fisico. Una riprova è proprio la
foto che ritrae Weinstein all’arrivo in tribunale. A fatica verso l’aula, curvo
su un deambulatore, aria dimessa e trasandata, capelli arruffati, tremendamente
invecchiato, barba lunga. Nell’aspetto, nessuna traccia esteriore del presunto
predatore sessuale.
A cogliere il
momento giusto per entrare nel team del produttore e salire alla ribalta è
proprio lei, Donna
Rotunno, aspetto elegante e raffinato (veste Ferragamo e Chanel), tratti marcati
del viso, parole taglienti. Una fama da duro (al maschile); un vero “bulldog da
aula”, viene definita. Il curriculum con cui si presenta accredita la fama. 44
anni, italoamericana di Chicago, esperta di reati sessuali, ha difeso 40 accusati
di abusi e ne ha fatti assolvere ben 39. Con i suoi metodi. Il quarantesimo le
è mancato d’un soffio, nonostante ce l’avesse messa tutta e fosse stata pure
brava: pare che avesse cercato di far accusare, al posto del suo cliente, un
cugino ma che questi, purtroppo refrattario alla strategia, fosse morto nel
corso del processo vanificando gli sforzi.
Nulla di strano
che a difendere un uomo accusato di violenze sessuali sia un avvocato donna,
anche se la cosa fa un po’ notizia, però non è il caso di tirar fuori la
solidarietà di genere. Il campo non è adatto: la difesa è un principio che
prescinde da simili associazioni logiche, ognuno ha diritto d’essere difeso, e
il difensore è un professionista, qualunque sia il suo genere sessuale.
Nemmeno il fatto
che la Rotunno sia apertamente schierata contro il movimento Me Too deve stupire più di tanto. Non
solo perché parecchi sono i critici, e ognuno può pensarla come gli pare, ma
perché lei si trincera dietro un sacrosanto principio: esiste la presunzione di
non colpevolezza, sono tutti innocenti finché non è dimostrato il contrario.
Fin qui, nulla di strano: i processi dovrebbero essere fatti nelle aule di
giustizia, piuttosto che sui giornali, anche se ognuno può farsi la sua idea ed
è giusto che la esprima, sia pure con prudenza e nel rispetto di tutti.
Ma se è
indifferente che, a difendere un accusato di violenze sessuali, sia una donna e
per giunta critica verso le altre donne, qualcosa cambia a sentire la stessa
Rotunno quando descrive la sua idea di difesa al femminile. Cosa pensa del
fatto che a esercitare la difesa in questi reati sessuali sia una donna? Posto
che rivendica una concezione, non c’era da dubitarne, energica ed
intraprendente, del suo ruolo in aula, ha precisato che il fatto d’essere donna
le dà un vantaggio rispetto agli uomini. Di che si tratta?
In sostanza,
specifica, può lanciarsi efficacemente all’attacco delle sue vittime (che sono i
testi di accusa) perché il fatto che esso provenga da una donna lo rende più
tollerabile, e consentito nei processi. “Se ad attaccare è un uomo, passa per
un tiranno, mentre se lo faccio io nessuno trova da ridire”, ha chiarito in
dettaglio. L’essere donna è strumentalizzato per giustificare metodi
discutibili di difesa. E il fascino femminile è rivendicato proprio come potere
nella professione. Un ribaltamento al femminile della prepotenza maschilista.
La Rotunno non si
perita di sottolineare la differenza che proprio il ruolo femminile può giocare
(ma diremmo in senso negativo sul piano dell’eguaglianza) in tante situazioni,
ma spinge la sua audacia anche in ardite interpretazioni giuridiche, che
giustificherebbero il suo modo di condurre la difesa in aula. Lei è critica non
solo verso il Me Too ma anche contro i
processi per reati sessuali, in cui tanti, Weinstein per non fare nomi, in
quanto inquisiti sono pubblicamente diffamati prima che ne sia accertata la
responsabilità e vedono rovinata la loro reputazione. A prescindere dalle colpe.
Infatti, spiega, è “l’unico crimine in cui qualcuno può essere accusato con
zero prove e solo con la parola di qualcuno”.
L’esperta di diritto,
che – si narra – ebbe l’ispirazione di diventare avvocato guardando i telefim, viene
dunque a insegnare che la parola delle vittime non è una prova, equivale a
zero, dunque non ha alcun valore nel processo. Del resto il convincimento di
fondo è netto. Si può immaginare quale reazione possa avere in certe situazioni
quando le persone non si comportano secondo i suoi schemi, cioè in fondo non
ammettono di aver calunniato. Lei sa come vanno le cose a questo mondo e certe
accuse sono inverosimili perché le donne non sono sprovvedute e, come lei,
hanno potere. Niente storie.
Lo dice
chiaramente, riferendosi alle donne che denunciano violenze: “Non voglio
ascoltare da una teste che non aveva scelta, hai sempre una scelta”. Messa
così, tutte le accuse sono fasulle. Un racconto della professione, e una
visione dei rapporti tra le persone che esclude sfumature, non è scalfito da dubbi,
è impermeabile ad ogni interrogativo. Nessuna perplessità sul fatto che specie
quello dei reati sessuali è un campo complesso e impervio, mai semplificabile
in maniera rozza. Nemmeno immaginando, come fa lei, una guerra tra sessi, o tra
fazioni contrapposte, in cui c’è sempre una parte giusta e lo si sa dall’inizio,
è quella di chi ha potere, non importa se uomo o donna.
Il
pianto di Jessica Mann scoppia inevitabile, quando la Rotunno suona la carica, a
dispetto delle regole. Insiste su un punto, la Rotunno, indurre la donna a
riconoscere che era stata lei a manipolare il produttore per scopi di carriera,
e che era disposta a tutto – compreso il sesso - pur di avere successo. Autoaccusarsi,
confessare delle colpe, rivelare il movente deplorevole della sua azione, questi
gli obiettivi della strategia. E’ tutto così evidente e scontato per lei anche
se siamo solo all’inizio. "Stavi
manipolando il signor Weinstein in modo da essere invitata alle feste,
vero?". "Avresti continuato a fare tutto ciò che dovevi fare per
farlo accadere?", “Lo hai sfruttato per lavorare”, queste le domande o
affermazioni. La sua verità contro le fandonie della teste.
Qualcuno avrebbe dovuto dirle, e il giudice non lo ha fatto, che non poteva rivolgersi così ad una parte offesa, e non poteva dire quelle cose, perché le frasi non erano domande sui fatti accaduti, contesto nel quale tutto si può dire e chiedere, ma altro. Erano giudizi sulla persona che si aveva davanti, sulle sue intenzioni o scopi. Veri, presunti, o auspicati a fini difensivi. “Non l’ho manipolato”, “Non direi così”, ha cercato di difendersi la Mann, costretta a scambiare il posto di accusatrice con quello di accusata, prima di crollare.
Qualcuno avrebbe dovuto dirle, e il giudice non lo ha fatto, che non poteva rivolgersi così ad una parte offesa, e non poteva dire quelle cose, perché le frasi non erano domande sui fatti accaduti, contesto nel quale tutto si può dire e chiedere, ma altro. Erano giudizi sulla persona che si aveva davanti, sulle sue intenzioni o scopi. Veri, presunti, o auspicati a fini difensivi. “Non l’ho manipolato”, “Non direi così”, ha cercato di difendersi la Mann, costretta a scambiare il posto di accusatrice con quello di accusata, prima di crollare.
Erano
domande inammissibili, se non si accetta che il processo possa essere condotto senza
regole, oltre i fatti, con il solo obiettivo di cercare il punto di fragilità
psichica della persona e lì sferrare il colpo del ko. Quello che fa male, e che
magari impressiona le giurie popolari, se scambiano un’aula di giustizia con la
scenografia di uno spettacolo pirotecnico.
Ovviamente,
stabilire se Jessica Mann, come qualsiasi altro teste, dica il vero o il falso,
se sia credibile o meno, è sacrosanto e il modo di farlo deve essere fermo e
puntuale, anche se si tratta di chi lamenta un abuso. Tutt’altra cosa sono i
pregiudizi, le semplificazioni, le aggressioni verbali. Il linguaggio usato come
clava. La verità richiede sempre un confronto deciso a cui nessuno può
sottrarsi, perché deve essere escluso anche il semplice sospetto di calunnia. Ma
appunto c’è un percorso da seguire e serve aspettare che il processo si svolga,
secondo le regole, prima di trarne le conclusioni. Sembra non averlo compreso
Donna Rotunno, che i colleghi dipingono come una che “sa tutto, sa sempre cosa
fare”. Forse questa non la sa.
* Leggi anche La Voce di New York:
* Leggi anche La Voce di New York:
Ma..... di questo passo
RispondiEliminaGli uomini faranno causa alle donne per abusi ....
E probabilmente vinceranno
Ancora una volta loro, gli uomini?
Mi chiedo veramente fino a quando le donne dovranno continuare ad essere umiliate anche dalle stesse donne ?
Mi fa molto male tutto questo.
Grazie L.m.