Figure moderne e antichissime. Suggestioni e interrogativi. Oggi, La sarta.
Già pubblicati: L’attrice, Lo
scrittore, L’astrofisico, La
ballerina, La
maestra, Il
falegname
di
Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)
(ap) Taglia e cuci, tutto lì il sapere
del sarto, mestiere tra i più antichi al mondo? E il gusto, la scelta dei
tessuti, gli accostamenti? Magari ci sono voluti anni per imparare. Qualcuno
non ce l’ha fatta. Sembra una cosa semplice all’inizio, si parla solo di ago e filo.
Le macchine servono per i lavori più grossi e per sveltire, rendere tutto più
semplice e veloce. Non bastano neppure quelle da sole.
C’è bisogno di rifiniture a mano,
capo per capo. Lì si gioca la qualità del prodotto. Le mani sulla stoffa,
avanti e dietro, sopra e sotto. Occorre togliersi gli occhiali, si vede meglio
da vicino, dopo molti anni. Sono tanti i particolari, da cui dipende la
riuscita. Quanti termini per raccontare la fatica. Un vocabolario apposito e
sterminato di parole, talvolta straniere, che formano un linguaggio esclusivo
di categoria.
Per esempio, le asole, le pattine,
lo scollo, e quel diavolo di rever, che talvolta non riesce proprio, o non
piace al cliente per come è riuscito. Per non parlare del numerino, la taglia,
da cui dipende tutto. Al cliente può anche piacere quello che hai fatto, ma se
non può indossarlo, perché non ci entra o gli va largo, di chi è la colpa? Non
pensa che è lui troppo magro o troppo grasso, sbagliato è il tuo lavoro. E ha
ragione. Le misure non sono state prese a modo. La resa della stoffa non è
quella prevista. Quel giorno avevi la testa da un’altra parte. In ogni caso, sei
sempre tu a commettere errori.
Così lui, il cliente, se ne va
deluso e tu, povero sarto, hai perso il guadagno. Come avviene da tempo, troppo
ormai. La crisi che investe tutti i settori, e poi Amazon. Sì, proprio lui il
signor Amazon venuto da lontano a strangolare te, a renderti la vita
impossibile. Tante offerte a prezzo stracciato. Da paesi lontani, dove chissà
come lavorano e quanti anni hanno i lavoranti. Niente tasse, e la salute perduta
tra i solventi e la sporcizia. C’è sempre qualcun altro che può offrire un capo
che costa meno, e le differenze con chi ci ha lavorato parecchio non si vedono affatto.
Eppure non manca la serietà. Né lo
sforzo. Quella strada richiede impegno e costanza, si sa che nessuno ti regala
nulla. L’apprendistato comincia da giovane presso chi il mestiere lo conosce,
sarti con un loro giro di clienti, gente che torna ad ogni cambio di stagione,
per rifarsi il guardaroba o soltanto cambiare un capo. Clientela esigente
perché segue la moda, vuole qualcuno degli abiti visti sulle riviste patinate,
indossati da personaggi famosi. A loro, le celebrità, stanno così bene, perché
non anche alla gente qualsiasi? Il fashion, ecco quello che ci vuole. Il
disegno capace di creare eleganza e ispirare sensualità. Che aiuta nei rapporti
sociali o sul lavoro. Eccome. Ci si presenta in tutt’altro modo. Appunto il
fascino segreto del vestire.
E il sarto sta dietro a tutto questo,
dedica tempo, anche quando proprio non gli va, a inseguire le bizzarrie dei soloni
dell’alta moda, i grandi sempre alla ribalta, con budget incredibili, che
dettano legge al mercato, e dicono come si devono fare i vestiti. Il passato
non va più bene. Senza un perché. Si cambia. Ora pantaloni stretti, non larghi.
O l’inverso. Giacche con un certo numero di bottoni, guai a fare diversamente,
si è out. E poi, occhio alle svasature, devono essere come quelle esibite dai
testimonial, per conto dei brand famosi, o dagli influencer, come si chiamano oggi
quelli che fanno pubblicità a pagamento. Ma il nome suona bene, e sembra chissà
cosa.
Della fatica a stare dietro tutte le
fantasie non si vede nulla nel piccolo lavoro di sartoria, sui tavoli per
tagliare le stoffe, dietro le vetrine delle botteghe: il sarto deve essere
pronto quando arriva il cliente, uno degli ultimi ormai, sapere cosa cerca,
anzi anticiparne i desideri secondo la moda del momento. E soprattutto deve saper
realizzare progetti sempre nuovi, che cambiano a ritmo vertiginoso, senza avere
la possibilità di studiarli. Ma a fare abiti ricercati spesso non basta averli visti
una volta sulle pagine di giornale. Nessun confronto con quelli che lavorano
nelle sartorie di lusso: hanno altri ritmi, tutto il tempo di sperimentare con
calma, magari di sbagliare un taglio, è dalla stagione precedente che ci provano.
Ma il semplice sarto no, deve agire
all’impronta, un colpo d’occhio soltanto per carpire i segreti di un nuovo
capo, prima di mettersi all’opera. In fretta, è il momento di tagliare e
cucire. E di farlo bene: abiti confezionati a dovere, rifiniti in modo
impeccabile, unici e originali si direbbe, anche se l’ispirazione viene da
un’immagine patinata, un video di You Tube, uno spot. Questo segreto però se lo
tiene per sé. Altri lo chiamano marketing, per il sarto è fantasia, invenzione,
capacità creativa. Un modo di arrangiarsi, magari. Qualità che ancora possiede per
fortuna, e che gli servono per andare avanti. Come la forza per continuare, di questi
tempi così magri.
Ho vissuto tra sete e velluti e ho cucito abiti
dai colori sfavillanti. Ho regnato su un piccolo laboratorio, ho tagliato,
cucito, orlato, ho preso misure, ho attaccato fiocchi, bottoni, ho copiato
modelli dalle migliori riviste di moda. Sono una sarta, una piccola, umile
sarta di provincia, e ho cucito abiti come quelli indossati dalle dive del
cinema. Quando le clienti si guardavano allo specchio con i miei vestiti, si
sentivano belle, bellissime, si pensavano ammirate e forse invidiate dalle
altre donne. Invidiate, certo, perché per una donna il giudizio delle altre
donne è più importante dell’assenso degli uomini.
La vanità. Ecco. Ci spinge a tanto ed io lo
sapevo, A cos’altro appellarmi per fare breccia nell’immaginario di una cliente?
La vanità ci incalza a comprare abiti, sfoggiare gioielli e andare alla ricerca
dell’accessorio perfetto. La vanità e nient’altro.
A nessuno piace una donna sciatta e trasandata!
Ci si aspetta da lei invece il massimo dell’eleganza e della classe, la
femminilità seducente e l’apoteosi del fascino. Un tempo noi sarte eravamo cercate
e osannate dalle clienti perché promettevamo l’originalità. Non esistevano le
grandi catene di abbigliamento che, oggigiorno, sfoderano abiti tutti uguali. Una
donna elegante, un tempo, pretendeva l’unicità, essere la sola ad indossare un
abito di quel colore e di quel taglio.
Tagliare, imbastire, cucire. Ho passato giornate intere
a preparare gonne e giacche, ruches, balze e abiti lunghi, scollati e
conturbanti. Conoscevo a memoria le misure delle mie clienti, sfogliavo le
riviste alla ricerca dei modelli adatti a ciascuna di loro e il mio piccolo
laboratorio era ricolmo di stoffe e fodere, di bottoni e alamari, era zeppo di
cordoncini e passamanerie, di aghi e fili dai mille colori.
Ho visto cambiare le mode, la gonna sotto il
polpaccio e poi sopra il ginocchio, a palloncino, dritta e poi svasata. Ma
questo non importa. La moda cambia, come tutto, e questa continua evoluzione è
vita, è l’antidoto alla noia, è creatività. Io ho amato il mio mestiere perché
ho avuto la possibilità di dare vita ai sogni delle donne, di creare la loro
speranza e donare loro la consapevolezza di essere affascinanti, di essere
migliori. E cosa importa se la realtà è sempre così misera quando invece nel
loro immaginario il mio abito creava l’illusione di sembrare più alte o più
magre, di apparire perfette e di ammantarsi di desiderio? C’è sempre un po’ di
verità anche nelle bugie. Quale? La
verità che nasce dal voler credere in qualcosa di magnifico a cui aspirare, il
sogno di essere una dea, forse il vagheggiamento o forse l’inganno. Ma che
importa? Sognare è meraviglioso e nutre il cuore.
Io, piccola sarta dalle mani svelte, nel mio laboratorio
ho permesso alle donne di sentirsi belle, desiderate, ho dato loro la corazza
della sicurezza nell’impalpabilità della sete e nella solarità dei colori. Ho curato
le loro incertezze regalando sogni, elargendo speranze.
Di questo sono fiera, e anche se le mie dita ora non
sono più agili, se le mie mani sono stanche e gli occhi sono appannati dall’età
avanzata, io so di aver speso bene i miei giorni. Li ho dedicati alle donne,
esseri fragili nel voler apparire sempre perfette, anime sensibili e
sognatrici, candide creature che si nascondono dietro uno scialle di voile, che
vogliono catturare il cielo vestendosi di azzurro e credere nel mistero
dell’amore ammantandosi di rosso scarlatto.
Sono una sarta e ho vissuto tutta la mia vita cucendo
i sogni di queste creature di sogno, nutrendo il loro amore per il bello e
dando loro la sicurezza in un drappo di seta.
Sarta
RispondiEliminaNobilissimo mestiere
Al pari dignità e valore di Artista
Grazie a tutte le sarte e i sarti
Che hanno creato i loro capolavori
opere uniche
Grazie Liana