lunedì 3 febbraio 2020

La sarta

Figure moderne e antichissime. Suggestioni e interrogativi. Oggi, La sarta.

di Laura Maria Di Forti
(Introduzione di Angelo Perrone)

(ap) Taglia e cuci, tutto lì il sapere del sarto, mestiere tra i più antichi al mondo? E il gusto, la scelta dei tessuti, gli accostamenti? Magari ci sono voluti anni per imparare. Qualcuno non ce l’ha fatta. Sembra una cosa semplice all’inizio, si parla solo di ago e filo. Le macchine servono per i lavori più grossi e per sveltire, rendere tutto più semplice e veloce. Non bastano neppure quelle da sole.
C’è bisogno di rifiniture a mano, capo per capo. Lì si gioca la qualità del prodotto. Le mani sulla stoffa, avanti e dietro, sopra e sotto. Occorre togliersi gli occhiali, si vede meglio da vicino, dopo molti anni. Sono tanti i particolari, da cui dipende la riuscita. Quanti termini per raccontare la fatica. Un vocabolario apposito e sterminato di parole, talvolta straniere, che formano un linguaggio esclusivo di categoria.
Per esempio, le asole, le pattine, lo scollo, e quel diavolo di rever, che talvolta non riesce proprio, o non piace al cliente per come è riuscito. Per non parlare del numerino, la taglia, da cui dipende tutto. Al cliente può anche piacere quello che hai fatto, ma se non può indossarlo, perché non ci entra o gli va largo, di chi è la colpa? Non pensa che è lui troppo magro o troppo grasso, sbagliato è il tuo lavoro. E ha ragione. Le misure non sono state prese a modo. La resa della stoffa non è quella prevista. Quel giorno avevi la testa da un’altra parte. In ogni caso, sei sempre tu a commettere errori.
Così lui, il cliente, se ne va deluso e tu, povero sarto, hai perso il guadagno. Come avviene da tempo, troppo ormai. La crisi che investe tutti i settori, e poi Amazon. Sì, proprio lui il signor Amazon venuto da lontano a strangolare te, a renderti la vita impossibile. Tante offerte a prezzo stracciato. Da paesi lontani, dove chissà come lavorano e quanti anni hanno i lavoranti. Niente tasse, e la salute perduta tra i solventi e la sporcizia. C’è sempre qualcun altro che può offrire un capo che costa meno, e le differenze con chi ci ha lavorato parecchio non si vedono affatto.
Eppure non manca la serietà. Né lo sforzo. Quella strada richiede impegno e costanza, si sa che nessuno ti regala nulla. L’apprendistato comincia da giovane presso chi il mestiere lo conosce, sarti con un loro giro di clienti, gente che torna ad ogni cambio di stagione, per rifarsi il guardaroba o soltanto cambiare un capo. Clientela esigente perché segue la moda, vuole qualcuno degli abiti visti sulle riviste patinate, indossati da personaggi famosi. A loro, le celebrità, stanno così bene, perché non anche alla gente qualsiasi? Il fashion, ecco quello che ci vuole. Il disegno capace di creare eleganza e ispirare sensualità. Che aiuta nei rapporti sociali o sul lavoro. Eccome. Ci si presenta in tutt’altro modo. Appunto il fascino segreto del vestire.
E il sarto sta dietro a tutto questo, dedica tempo, anche quando proprio non gli va, a inseguire le bizzarrie dei soloni dell’alta moda, i grandi sempre alla ribalta, con budget incredibili, che dettano legge al mercato, e dicono come si devono fare i vestiti. Il passato non va più bene. Senza un perché. Si cambia. Ora pantaloni stretti, non larghi. O l’inverso. Giacche con un certo numero di bottoni, guai a fare diversamente, si è out. E poi, occhio alle svasature, devono essere come quelle esibite dai testimonial, per conto dei brand famosi, o dagli influencer, come si chiamano oggi quelli che fanno pubblicità a pagamento. Ma il nome suona bene, e sembra chissà cosa.
Della fatica a stare dietro tutte le fantasie non si vede nulla nel piccolo lavoro di sartoria, sui tavoli per tagliare le stoffe, dietro le vetrine delle botteghe: il sarto deve essere pronto quando arriva il cliente, uno degli ultimi ormai, sapere cosa cerca, anzi anticiparne i desideri secondo la moda del momento. E soprattutto deve saper realizzare progetti sempre nuovi, che cambiano a ritmo vertiginoso, senza avere la possibilità di studiarli. Ma a fare abiti ricercati spesso non basta averli visti una volta sulle pagine di giornale. Nessun confronto con quelli che lavorano nelle sartorie di lusso: hanno altri ritmi, tutto il tempo di sperimentare con calma, magari di sbagliare un taglio, è dalla stagione precedente che ci provano.
Ma il semplice sarto no, deve agire all’impronta, un colpo d’occhio soltanto per carpire i segreti di un nuovo capo, prima di mettersi all’opera. In fretta, è il momento di tagliare e cucire. E di farlo bene: abiti confezionati a dovere, rifiniti in modo impeccabile, unici e originali si direbbe, anche se l’ispirazione viene da un’immagine patinata, un video di You Tube, uno spot. Questo segreto però se lo tiene per sé. Altri lo chiamano marketing, per il sarto è fantasia, invenzione, capacità creativa. Un modo di arrangiarsi, magari. Qualità che ancora possiede per fortuna, e che gli servono per andare avanti. Come la forza per continuare, di questi tempi così magri.

Ho vissuto tra sete e velluti e ho cucito abiti dai colori sfavillanti. Ho regnato su un piccolo laboratorio, ho tagliato, cucito, orlato, ho preso misure, ho attaccato fiocchi, bottoni, ho copiato modelli dalle migliori riviste di moda. Sono una sarta, una piccola, umile sarta di provincia, e ho cucito abiti come quelli indossati dalle dive del cinema. Quando le clienti si guardavano allo specchio con i miei vestiti, si sentivano belle, bellissime, si pensavano ammirate e forse invidiate dalle altre donne. Invidiate, certo, perché per una donna il giudizio delle altre donne è più importante dell’assenso degli uomini.
La vanità. Ecco. Ci spinge a tanto ed io lo sapevo, A cos’altro appellarmi per fare breccia nell’immaginario di una cliente? La vanità ci incalza a comprare abiti, sfoggiare gioielli e andare alla ricerca dell’accessorio perfetto. La vanità e nient’altro.
A nessuno piace una donna sciatta e trasandata! Ci si aspetta da lei invece il massimo dell’eleganza e della classe, la femminilità seducente e l’apoteosi del fascino. Un tempo noi sarte eravamo cercate e osannate dalle clienti perché promettevamo l’originalità. Non esistevano le grandi catene di abbigliamento che, oggigiorno, sfoderano abiti tutti uguali. Una donna elegante, un tempo, pretendeva l’unicità, essere la sola ad indossare un abito di quel colore e di quel taglio.
Tagliare, imbastire, cucire. Ho passato giornate intere a preparare gonne e giacche, ruches, balze e abiti lunghi, scollati e conturbanti. Conoscevo a memoria le misure delle mie clienti, sfogliavo le riviste alla ricerca dei modelli adatti a ciascuna di loro e il mio piccolo laboratorio era ricolmo di stoffe e fodere, di bottoni e alamari, era zeppo di cordoncini e passamanerie, di aghi e fili dai mille colori.
Ho visto cambiare le mode, la gonna sotto il polpaccio e poi sopra il ginocchio, a palloncino, dritta e poi svasata. Ma questo non importa. La moda cambia, come tutto, e questa continua evoluzione è vita, è l’antidoto alla noia, è creatività. Io ho amato il mio mestiere perché ho avuto la possibilità di dare vita ai sogni delle donne, di creare la loro speranza e donare loro la consapevolezza di essere affascinanti, di essere migliori. E cosa importa se la realtà è sempre così misera quando invece nel loro immaginario il mio abito creava l’illusione di sembrare più alte o più magre, di apparire perfette e di ammantarsi di desiderio? C’è sempre un po’ di verità anche nelle bugie. Quale?  La verità che nasce dal voler credere in qualcosa di magnifico a cui aspirare, il sogno di essere una dea, forse il vagheggiamento o forse l’inganno. Ma che importa? Sognare è meraviglioso e nutre il cuore.
Io, piccola sarta dalle mani svelte, nel mio laboratorio ho permesso alle donne di sentirsi belle, desiderate, ho dato loro la corazza della sicurezza nell’impalpabilità della sete e nella solarità dei colori. Ho curato le loro incertezze regalando sogni, elargendo speranze.
Di questo sono fiera, e anche se le mie dita ora non sono più agili, se le mie mani sono stanche e gli occhi sono appannati dall’età avanzata, io so di aver speso bene i miei giorni. Li ho dedicati alle donne, esseri fragili nel voler apparire sempre perfette, anime sensibili e sognatrici, candide creature che si nascondono dietro uno scialle di voile, che vogliono catturare il cielo vestendosi di azzurro e credere nel mistero dell’amore ammantandosi di rosso scarlatto.
Sono una sarta e ho vissuto tutta la mia vita cucendo i sogni di queste creature di sogno, nutrendo il loro amore per il bello e dando loro la sicurezza in un drappo di seta.

1 commento:

  1. Sarta
    Nobilissimo mestiere
    Al pari dignità e valore di Artista
    Grazie a tutte le sarte e i sarti
    Che hanno creato i loro capolavori
    opere uniche
    Grazie Liana

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