A zonzo per una mostra
di pittura: dialogo surreale tra amici
di Paolo Brondi
Nel mistero
della luce autunnale di un dipinto ammirato in una mostra d'arte contemporanea,
Giorgio ritrovava l’incanto di un tempo ove i sentimenti balzavano innanzi,
colorati come di sole cadente, promessa di un nuovo giorno sereno.
Il suo
collega, Roberto, ammirava, più in là, un nudo di donna, nutrendosi di
sensazioni che rendevano il suo respiro più corto, recuperando memoria della
sua più recente esperienza con Rosalba, una fanciulla, dal nome gentile, ma dai
modi capricciosi, forse ispirati dai rossi capelli portati a maschietto e con
una frangia sempre scomposta, su occhi furbetti e ammiccanti. Nella sala
dell’Hotel Michelangelo di Forte dei Marmi, sede della mostra, i numerosi
spettatori continuavano ad aggirarsi intorno, interessati più al saluto
reciproco che al senso e al valore delle varie pitture.
La ragazza
con stivaletti neri a mezzo polpaccio e gonna più corta dei lunghi riccioli
biondi, sciolti fino alle reni, promettente soavità di sensi e leggerezza di
pensiero; la signora con camicione bianco mascherante glutei cascanti, e con
piglio deciso a far valere la ricca esperienza di uomini e di anni intensamente
vissuti; il signore di mezza età, vestito di panni giovanili e sorridente con
la nuova dentatura, pago di rimandare oltre data il declino fisiologico e di
riconquistare l’orizzonte della invidiata gioventù; la signora in rosa, con
corpo di giunco, adornato da collane a rigiro e impreziosito da perline,
diffuse sulla chioma a trecce e treccine, felice degli occhi ammiranti e
generosa di moti graziosi delle mani e della bocca; la donna in nero, con
corpetto che non nascondeva il seno prorompente, desiderosa di non tenera
palpabilità; l’industriale che sembrava discutere seriamente, ma con occhi
puntati verso una bionda che più in là faceva moine e sicure promesse di felice
carnalità.
Giorgio,
per sua naturale predisposizione e per la sua profonda cultura umanistica - era
docente universitario di psicologia clinica - osservava la varietà e
l’uniformità di quel comportamento, leggendo l’espressione di questa o quella
persona, o dei gruppi accalcati attorno ad un quadro o a un altro, ascoltando
talora anche i commenti. Pensava come il gusto si fosse sempre più abbassato in
qualità, attento com’era a ricavare dai quadri riferimenti concreti e
l’aderenza a cose note invece che sforzarsi di interpretare e cogliere
significati più alti. Giorgio faceva partecipe Roberto dei suoi pensieri, pur
sapendo che avrebbe avuto in risposta parole scettiche e noncuranti:
«Sei sempre
il solito intellettuale. La gente se ne frega del rapporto fra le immagini e i
significati profondi, quello che interessa a tutti è la corposità delle cose:
quel nudo là, quel cavallo, quelle mangrovie. E si porta a casa l’emozione di
un colore, il piacere del bello o anche del brutto, altro che la struttura
profonda dei significati!».
Giorgio
rispettava l’amico comprendendone le motivazioni: Roberto non poteva ragionare
diversamente essendo quasi quotidianamente a contatto con il gioco della vita e
della morte, insegnando ed esercitando patologia medica.
E, ogni
volta, la prevista rinuncia a un dialogo culturale, comportava risolvere tutto
nell’offrirsi, reciprocamente, un caffè, un aperitivo e la distensione di
parole piane. Ma quel giorno, Roberto stupì. Seduti al bar, prese a valutare la
precarietà del suo modo di esistere:
«Sai, non ce la faccio più ad andare avanti
così. Ho quasi quarant’anni, sono un universitario affermato, ma non ho una
famiglia. Le donne, quante donne!, e poi? Quando ne incontro una nuova, un
fuoco! Spese di qua, spese di là, cene, alberghi e poi? Poi il senso della non
durata, la noia, e ne cerco un’altra o mi faccio cercare. Sono come quel Don
Giovanni di cui ci parlava il prof. Artigli di filosofia, ti ricordi? Il Don
Giovanni di Kierkegaard! Forse sono un wanderer romantico, sempre alla ricerca
della propria capanna».
Giorgio
ascoltava silenzioso quel profluvio di desideri, di bisogni profondi, di
suggestioni che ora si ricordava già, germinavano in Roberto, fin da quando si
erano conosciuti, al tempo del Liceo. E, pur sapendo in sé di non essere
credibile, in quanto ormai da più anni separato dalla moglie, e prossimo al divorzio,
se ne usciva sempre con quel rituale.
«Ti
capisco, dovresti trovare una ragazza da sposare. Una famiglia tua ti
risolverebbe ogni guaio esistenziale. Nel frattempo chiedi un appuntamento a
quella mia amica, la Guandi, la psicoterapeuta, te la ricordi? Fatti visitare,
un po’ di terapia non ti farebbe male!»
L' odierno racconto è stupefacente, bellissimo e denso di enormi e variegati significati.
RispondiEliminaI due giovani uomini, diversi ma amici dunque gioiosi di condividere interessi comuni, osservano e valutano non soltanto la mostra ma anche tutta la screziata ed eclettica umanità, analizzata con grande sapienza, da un conoscitore dell' animo umano, celato al di là delle apparenze.
Le valutazioni sono difformi, anche su ciò che la vita offre... E in effetti le loro esistenze percorrono strade dissimili, con impegni quotidiani basati su ambiti differenti, e forse con incontri femminili che hanno segnato le loro esistenze. Chissà!
Amori disperati finiti tragicamente, oppure tanti incontri privi di sostanza...
Certo è che il docente di psicologia clinica è grande e intenso conoscitore delle ambasce che turbano l' amico e lo consiglia saggiamente per il meglio.
Le persone presenti alla mostra sono descritte in modo ineccepibile, ciascuna colta nella sue essenza, dipinte come i quadri esposti ed esse stesse entrano a buon diritto nella stessa mostra. Un quadro nel quadro. Ma da essi trasuda è traspare tutta la loro umana fragilità, il loro credere di non essere scoperti nelle proprie debolezze, mentre l' occhio vigile del terapeuta li spoglia e analizza nei loro dettagli.
È un racconto molto bello, interessante e diverso. Un racconto che stimola fortemente la riflessione filosofica anche nel cenno al Don Giovanni. Un racconto prezioso.
Cristina Podestà