Colombia: il movimento
Ruta Pacifica. Donne che raccontano le tragedie
di Marina Zinzani
La
piccola sala è piena, non ci si aspettava tanta gente, forse. Si aggiungono
sedie. Il tema è inconsueto, riguarda la Colombia, e l’incontro è con una
giovane attivista colombiana, Kelly. Fa parte del movimento Ruta Pacifica de Las Mujeres,
che raccoglie molte donne che hanno deciso di dire basta alla guerra, alla
violenza, e di far sentire la loro voce.
Kelly,
dopo essere stata presentata della sua
accompagnatrice e interprete, inizia dicendo che la Colombia è un Paese
bellissimo, pieno di ricchezze, con una natura straordinaria. Poi inizia a dire
altre cose, e mostra un video che spiega
cos’è Ruta Pacifica, che ritrae le donne che si sono organizzate, le loro
marce, le manifestazioni.
Kelly
è in Italia per un tour di presentazione di un libro che raccoglie
testimonianze di donne vittime della guerra che c’è da decenni nel suo Paese,
sono state ascoltate moltissime donne e una parte di queste testimonianze sono
raccolte nel libro di cui si parla (“La verità delle donne. Vittime del
conflitto armato in Colombia”).
Quelle
altre cose che dice, dopo la premessa sulle bellezze della Colombia, sono un
po’ difficili da riportare. Rimangono impresse come macigni. Donne vittime di
torture, brutalità, violenze. Una donna a cui sono stati uccisi il marito e i
figli, risparmiando lei. Perché lei è rimasta in vita, si chiede? La sua lenta
morte è appunto essere rimasta in vita, impedendole di suicidarsi (ha tentato
il suicidio quattro volte, sventato dai suoi aguzzini).
Donne
che hanno perso un figlio, sparito, sequestrato e ritrovato morto con la divisa
da guerrigliero. Li chiamano “falsi positivi”, sono civili innocenti uccisi
fatti passare per guerriglieri morti in combattimento. Migliaia di “falsi
positivi”.
Parla
di espropriazione delle proprie case, delle proprie terre, della perdita di
ogni bene materiale, e degli affetti più cari.
Su
tutto questo si leva la voce delle donne, la verità che cercano, il cercare di
riportare la pace, di ottenere giustizia, e soprattutto di prendersi il diritto
alla parola, trovando la forza di raccontare. Raccontare le violenze subite.
Raccontare
è un po’ come liberarsi, una donna si racconta ad un’altra che ha subito, ora
sono in due, poi in tre, poi in quattro, poi mille, poi più di mille, e possono
far sentire la loro voce. Non si sa dove possa arrivare quella voce, in alto,
si spera. Ma anche rimanendo in basso quelle donne non si sentiranno più sole,
e potranno tentare di rielaborare i lutti e le violenze subite.
La
riparazione è fatta di coraggio, prima di tutto. Per non far sentire quelle
vittime, tutte le vittime delle guerre, sole, la solitudine come ulteriore
tortura.
Nel
retro nel libro c’è la frase di una di queste donne intervistate: “Mi stanno
rispuntando le ali... e questo mi guarisce.” Le ali si guadagnano sulla terra,
si costruiscono con fatica, e viaggiano con lo sguardo oltre, oltre tutto
quello che è accaduto. Per ricominciare e per credere ad un futuro migliore.
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