Re, cortigiani, sudditi. La giostra tra villani e cavalieri. E del buon vino per
fornicare meglio, la notte
di Bianca Mannu
Un re c’era una volta -
assiso nel suo seggio
-
che tanti sudditi
aveva
secondo il suo
retaggio.
Fissò la legge mai più
sciolta:
a ogni dì dell’anno si
doveva
donare al sire per
omaggio
Erano sue la terra e
le sue viscere
suoi i metalli trovati
e tutto l’oro
sue le erbe e le
piante mortifere.
Ancor suoi le rocce e
i sassi
suoi gli armenti e
pesci e uccelli
insetti e vermi magri
e grassi.
Suoi i villani ed i
castelli
sue le serve e le
madonne
sue le armi con i fanti
sue le gemme nelle
gonne
- mano dietro e
l’altra avanti -
Era scritto in terra e
in cielo
primo di tutti i
pretendenti!
Poi vagliava sposo o
velo
delle figlie e sue
parenti.
Ma alla corte i
cavalieri
arrivavano al tramonto
coi ronzini e di scudieri
si faceva poco conto.
Il re ordinava
volentieri
un gran fuoco nel
camino.
Con la fiamma e con la
brace
si organizza uno
spuntino:
un po’ si narra un po’
si tace.
Favoriti dal buon vino
nella notte pertinace
uno all’altra più
vicino
a fornicare con le
dita.
Dare e avere il quid
speciale
da addolcire un po’ la
vita
su un problema un po’
cruciale:
era modo a programmare
senza rischi e senza
schianto
il coefficiente
familiare
in tempi duri e cibo
stento.
Benché di tutto fosse
il Sire
e di ciò menasse vanto
-
si studiava di
ghermire
alle vergini il seno
santo
ed ancora intatto il
fiore
nell’alcova sua -
mignatto –
che a guardarlo provi
orrore.
Barba lunga quasi
sfatto
sul principio
dell’aurora
ordinava ai nuovi fanti
di scudare adesso e
ognora
i bei Sir unti alla
guerra.
Schiaffeggiava tutti
in guanti
e come chi giammai non
erra
con lo scettro suo
paterno
comandava ai maschi
arditi
da buono e vero
padreterno
di sacrarsi scorte e mariti
di pulzelle e
gattemorte
benemerite di corte.
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