Ranieri fu sorpreso dalle grida con cui i bambini annunciavano che non ci
sarebbe stata scuola. Non capiva che quel
trambusto era dovuto alla fuga dei tedeschi dal paese
di Bianca
Mannu
(Tratto dal libro Da Nonna Annetta, ed. La Riflessione, 2011)
Ranieri continuava a dormire come se
dovesse scontare un anno intero di veglie. Ma di quando in quando quel sonno
placido e stranamente solido si apriva verso finestre di sogno, nelle quali
s’accendevano lampi multicolori che deflagravano in curiosi tambureggiamenti e
in sarabande musicali. Poi si spegnevano e tornava il silenzio.
Una mattina i suoi occhi si aprirono
come se fossero nuovi e guardavano dai vetri i ghirigori di brina che
scintillavano sugli arbusti dell’orto. Si alzò senza pensare a niente e senza
alcuno stupore. Cominciò a vestirsi piano piano, tendendo l’orecchio alle voci
di fuori. Infatti lentamente e da varie direzioni esterne alla casa cominciò a
montare un’inconsueta animazione: erano accenti familiari, femminili e infantili;
poi altre voci rotolavano verso di lui scivolando oltre, sempre più numerose,
come bolle rotonde che scorressero in rapida, diretta verso il fiume. E allora,
sentendo vuota la casa, si fece sull’uscio: era come se tutto il paese, case
comprese, andasse incontro a un’aria di vetro, gelida e pura.
“Che cosa
fai sull’uscio come un babbeo, Ranieri? Vieni con noi, dai!” gli gridò Sara
di Gesuina.
“Ma va! Qualcuna
l’aveva messo a fuoco? Creature strane le fem … No! I tedeschi si sono
squagliati?! Squagliati!” urlò per se stesso, e gli rispose una
salva di martelletti pasquali. Sganciò la vecchia mastruca della buonanima e si
buttò anche lui tra la folla. Anche lui entrò nella festa dei discorsi
incrociati e gridati, in mezzo alle corse tortuose dei bambini che,
palleggiando le cartelle scolastiche, scandivano ritmicamente: “Niente scuola, niente scuola”.
Si sentì incredibilmente leggero,
dimentico di ogni cosa che non fosse il respirare l’aria gelida e, come tutti,
avere una nuvoletta biancastra intorno alla bocca e andare. Qualcuno aveva
scovato un tricolore, qualche altro s’era messo a sventolare uno straccio rosso
appeso a un manico di zappa, un gruppetto di donne teneva alto uno stendardo
della Vergine e tutti a passo di marcia verso il municipio, verso Sa Panga,
verso la chiesa, o forse verso l’altopiano a vedere di persona il vuoto
lasciato dai tedeschi.
E già i più agili avevano preso la
rincorsa in salita, e quando ebbero passato il ponte, tutti dovettero voltarsi
all’unisono, come a un richiamo perentorio e universale. Le campane della
chiesa s’erano sciolte e suonavano “a gloria”, festose come a Pasqua di
Resurrezione, intanto che il sole già alto faceva brillare le sciolte gocce di
brina sui ricami della croce in cima al campanile.
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