Paolo Brondi
Luca,
professionista affermato e sempre curioso di cose inconsuete, si era trovato
quel giorno a rovistare cassetti per rintracciare un nome che in mente rullava
da quando aveva curato una paziente dal nome Norina.
Un
nome inconsueto negli ultimi spazi del ‘900, ma frequente a sentirsi nel
decennio oltre gli anni dell’ ultima guerra. Un nome che in memoria Luca metteva
a confronto con altre voci, altri suoni sempre più cari, via via che il ricordo
si faceva più vero.
Giolì,
Giolì: era un tintinnio di suoni più incalzante fra quelli ricercati e trovati.
Una fanciulla bionda, delicata nell’azzurro degli occhi su di lui accarezzanti
ed in parole ridenti che, allora, lo sorprendevano a sorridere e a sentire
dentro flussi di piacevoli formicolii.
Con
lei, nella sua prima giovinezza, se ne
andava in segreto nei viottoli della campagna oltre il paese, tracciati all’interno
di pergolati di viti, o di peschi, o di susini, e con quell’innocenza di modi
che il primo innamoramento consentiva in tempi in cui il consumismo di tutto,
anche dei corpi, non aveva ancora fatto sentire le sue ali funeste.
La
felicità degli incontri, attesa con salutare e provvido differimento del
piacere in ogni giorno di scuola, per condivisi doveri da assolvere, veniva ad
esplodere nel sabato pomerig gio e
nelle domeniche: in quegli spazi, le ore si riempivano di tempi più lunghi e le
fresche parole d’amore sussurrate da Giolì, abbozzate da Luca e i primi timidi
baci, dal sapore di rose e violette, si
mescolavano alle struggenti note delle fisarmoniche, quando seduti sul poggio
di uno dei viottoli che portava alla Chiesa, avevano alla spalle la collina
vicina, ove era la pista da ballo.
Erano
suoni e musiche che lui, più tardi, avrebbe recuperato, raccolti in
musicassette, ascoltate in autoradio, durante i suoi numerosi viaggi: Carnevale
di Venezia, Chiribibi, Gelosia, Tango delle rose, Sul bel Danubio blu, Onde del
Danubio, Valzer di mezzanotte, la Cumparsita, Tango del mare, i Pattinatori, la
Palma, Espana, Speranze perdute, Violino tzig ano,
la Vedova allegra.
I
giovani di allora, tra il ‘50 e il ‘60, ballavano all’aperto, appena sbocciata
la primavera, mescolati a chi giovane non era più, ma aveva ancora voci
suadenti nel cuore, e la loro danza, ritmata nei tempi delle fisarmoniche, era
gioia dei corpi e ali per gli affetti.
E
quando il sole annunciava la sera, Giolì pregava Luca di riaccompagnarla a
casa: “è tardi. Devo tornare a casa!
Mio padre mi aspetta” ripeteva con una ansia sconosciuta, più tardi, ai
giovani dagli anni ’60 in poi, progressivamente disabituati a misurarsi con la
poesia dei tramonti per divenire folla delle notti illuminate dai neon.
E,
andando per via gli stringeva la mano.. si alzava al suo viso baciandolo e
mormorando “ ti amo… ora… domani… sempre..”.
Luca
accarezzava con gli occhi, le mani, le labbra della sua dolce Giolì fiducioso
di una permanenza non effimera entro di sé del vincolo con lei..
E
sul finir di un’estate del 1963, quando ancora le lucciole timidamente
lampeggiavano sul prato profumato di verbena, Giolì si abbandonò a Luca
donandogli, petalo dopo petalo, la rosa verginale di tutto il suo amore. Una
settimana, un mese, di intensa passione, alla luce pura, splendente, di un
innamoramento fra due giovani, tutti immersi in un tempo senza tempo.
Ma,
in un giorno di autunno avanzato, pieno di colori e di foglie volanti sullo scherzo
del vento, Luca aspettò a lungo la sua amata Giolì .
L’indomani
venne a sapere che il padre di Giolì, funzionario della prefettura, era stato
trasferito e tutta la famig lia lo
aveva seguito.
L’ira
lo prese e la bruciante delusione sembrò spezzare il circuito amoroso e
vincente dei giorni d’estate. Si arrovellava e si chiedeva angosciato perché
lei non gli aveva annunciato quella partenza; perché non lo aveva cercato, per
salutarlo, per baciarlo ancora una volta, per dirgli un arrivederci.
L’orgoglio
giovanile lo indusse al silenzio per mesi e mesi: poi la rivincita dell’amore
lo portò a conoscere la forza della nostalgia, ove si tuffò con tutto il
romanticismo dei suoi anni.
Prese
allora a scrivere poesie indirizzate alla Prefettura di Milano, all’attenzione
della signorina Giolì, fig lia del
Viceprefetto Martini, non osando piombarle vicino prendendo un treno per
raggiungerla, come gli amici continuavano a suggerirgli.
Luca
aveva conservato, nel fondo di un cassetto, alcune di quelle poesie che avevano
ora il giallo del tempo ed il sapore di uno spazio irrimediabilmente diviso. Il
tono era questo:
Distacco
In
questo svanire di te
invano
tace
memoria
dell’
incanto spezzato
Nell’ultima
luce di sole
Sospira
su me il profumo…
di
te nel vuoto di questo
mio
cuore
Memoria
Ricordo, Giolì, i nostri
baci nell’alba
di un giorno di sempre
E tu nei miei occhi
Luce splendente
del nostro futuro
Un attimo..
Ho visto danzanti
parole
Su una pietra profumata di mare
“Se in tutti i
tuoi attimi
in un attimo…….
quell’attimo mi
penserai…
Io ti sto
pensando…..”
Stride un gabbiano…
E sull’onda più
alta
Scivola via……
Così è or la mia
vita….
Un grido….una
poesia…
Nulla più seppe di Giolì e delle sue poesie: alcuna risposta mai gli arrivò da Milano. Né lui fece più alcun tentativo di ritrovarla. Alla nostalgia subentrò la delusione e, poi, la vita lo prese nel turbinio degli studi, della laurea, della professione che ora lo vedeva primario medico e docente in Università.
Ma
la freccia del tempo, non sempre diretta in avanti, nel fargli incontrare la paziente Norina ,
dopo non molti spazi dalla recuperata memoria di quel suo primo innamoramento,
lo guidò per strade rinomate, Via della Spig a,
Milano, quando in città si trovò per un ennesimo Convegno di Medicina.
Passeggiando
per quella via, specchiata in lucenti e preziose vetrine e folta di passi
lenti, ammiranti le bellezze della moda del tempo, gli parve di sentire
d’intorno un profumo radicato in memoria.
Uno
choc, uno smarrimento e il profumo più lontano, più vicino lo orientava verso
una fig ura di donna che avanti a lui
camminava con passo danzante.
Il
livello della emozione cresceva, saliva, saliva, fino a condensarsi in sonora
evocazione: “Giolì!?
La
donna si voltò a guardare quell’uomo dallo sguardo adorante in quel volto
interessante per non ovvia beltà che sempre aveva visto e ammirato in una fotografia
di casa.
“Mi consenta, sig nore,
non sono Giolì, ma il mio nome è Giulia.. unica fig lia
di Giolì”.
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