di
Marina Zinzani
(Una visita medica, quel fragile
confine tra la paura e la vita)
L’incubo
di ogni donna che fa una mammografia è quello di essere richiamate. Una lastra
venuta male, un ulteriore controllo, si sa come vanno le cose. Una telefonata
al cellulare, un numero che non si conosce. Sono già passate diverse settimane dall’esame, quasi si è dimenticato
che ancora non è arrivato l’esito per posta. Arriva invece una telefonata, quel
numero sconosciuto, che non appartiene a nessuno che si conosca.
E’ lei…? Deve ripresentarsi il giorno…
E’ lei…? Deve ripresentarsi il giorno…
Cosa
succede nel frattempo. Come tutto cambia all’improvviso. Come una giornata
normale possa essere l’inizio di un incubo.
La paura che taglia le gambe, sgomento, un insieme di pensieri che arrivano,
come insetti, insetti sconosciuti. No, non bisogna preoccuparsi, è successo ad
altre donne di essere richiamate e poi non era niente. Ma si sa anche che è
successo ad alcune, e qualcosa c’era. Si sa. Si sa.
E’
così fragile il confine, è un mare la nostra vita, si può levare un’improvvisa
burrasca, un cielo grigio, le acque che diventano minacciose, pronte ad
inghiottire tutto, tutto quello che fino a poco prima si dava per scontato, le
persone attorno, il lavoro, la casa, la propria identità.
Ci
si ritrova allo specchio con la paura. C’è una sentenza in arrivo. Neanche
immediata. C’è da attendere. E il tempo non passa mai.
Si
esce da una porta. Si ha voglia di sorridere, di ridere, forse di piangere. Tutto
bene, non era niente. Il passero lungo la strada, l’aiuola fiorita, le auto che
passano: si mescola la gioia alla sensazione di grazia. Sembra così bella la
vita, oggi.
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