Racconto di Paolo Brondi
Il vino, di un bel
rosso rubino, gorgogliava scendendo dal fiasco impagliato, e le due grandi
coppe titillavano nel riempirsi e Giulio e Irene si scambiarono un brindisi
spontaneo e sincero. «Questo vino, Irene è veramente oblio dai mali! Non scalda
solo il corpo, ma anche l’animo e ridona entusiasmo. Non le fa questo
effetto?». Irene non rispose, ma lo guardò: era lo sguardo di una donna
ammirata dall’uomo che aveva dinanzi, un uomo che le appariva affascinante nel
portamento, nell’asciuttezza del corpo, e dotato di una muscolatura di cui la
stretta di mano faceva presagire elasticità e freschezza; ne ammirava il viso,
dalle linee pure, forti e delicate; gli occhi, dorati di verdi pagliuzze e le
tempie appena striate di bianco.
Quello sguardo,
insieme al vino, rimescolò tutto il professor Toni che pure gioiva alla vista e
al pensiero di una donna, Irene, di una cinquantina d’anni, non tanti da
assopire slanci, desideri, intenerimenti, passioni, non pochi da dover
contenersi di fronte alla gente, banalizzando, senza uso di trucco, la bellezza
che pure traspariva in ogni poro della sua persona, assai somigliante a quella
di Elena: lo stesso suo sorriso, ma più maturo, più sottilmente seducente, e lo
stesso taglio dei capelli, la medesima pienezza del seno, il ventre piatto e i
fianchi di misurata profondità e delicatezza.
Non dette altro
alimento a questa scoperta e, alzatosi in piedi, prese per mano Irene
dicendole: «Andiamo, andiamo insieme a cercare Elena!».
Irene non se
l’aspettava, dentro di sé preferiva un’altra soluzione: sarebbe stato meglio
rimanere lì ancora un poco, per attendere magari una telefonata, un cenno da
Elena. Ogni tanto scriveva, talvolta telefonava; sempre fredda, sempre distaccata,
ma mai senza un “come stai mamma?” Ma si limitò a obiettare: «Sig. Giulio, dove
vuole portarmi? È tanto tempo che non esco… e poi perché vuole trovare Elena,
mia figlia? Quando mi telefona, non mi dice mai, dove si trova.
Solo quando mi
scrive, riesco a risalire al luogo attraverso il timbro postale. L’anno scorso,
ad esempio, ho saputo che era in Africa, in Sierra Leone, perché ho ricevuto
una cartolina da lì! Possiede una casa a Magione ed è titolare di un
agriturismo, sui colli Umbri …». Il professore, rincuorato da queste notizie,
esclamò «Irene, non deve esitare, deve uscire da questo splendido isolamento.
Io la aiuterò, e lei mi aiuterà a ritrovare Elena. E’ entrata solo da pochi
giorni nella mia vita ed ha ridestato in me la voglia di amare, troppo a lungo
sopita, da quando mia moglie ha preferito l’Africa e la cura degli indigeni a
me, e ora anche lei è scomparsa!”.
E Giulio e Irene,
come impedendo a un sogno di svanire alla luce dell’alba, si avviarono verso
Magione, mentre una nebbiolina sottile annunciava l’autunno e sfumava di grigio
l’azzurro del lago. Sulla superstrada deserta la macchina correva veloce e,
anche senza parole, il profumo dell’aria bastava a renderli uniti. A Magione
trovarono la casa: tutta chiusa; di Elena nessuna traccia. Anche i vicini,
interrogati, confermarono che da molto tempo non si era vista anima viva nella
casa. Ripresero veloci il cammino, e le ombre del crepuscolo si moltiplicavano
quando scorsero un gregge di pecore, confuse e riordinate da cani fedeli e vocianti
qua e là, ed entrarono nel viale di accesso all’agriturismo di Elena.
Non era periodo di
punta per l’agriturismo e i servizi erano ridotti, ma il luogo era bello e la
casa colma di monili, trofei di caccia, quadri di autori epigoni dei
macchiaioli, poltrone, un piano, una chitarra, un enorme camino. Di Elena
nessuna traccia. La cuoca, responsabile della casa, disse di averla vista e
servita tre giorni prima. Le era apparsa felice e piena di vita quando l’aveva
salutata. Giulio si rincuorava nell’intimo, ancora fremendo della vitalità
felice di Elena, mentre Irene, per altra ragione, sorrideva teneramente.
«Signora - disse la cuoca - già è notte, perché non vi fermate qui? Vi preparo
una bella cena, e poi ci sono tante stanze libere, potete scegliere la
migliore!» Irene e Giulio si scambiarono uno sguardo divertito per l’equivoco
della cuoca, ma stettero al gioco: «Sì - disse Giulio - mi pare una buona idea,
fermiamoci, ripartiremo domani!».
La cuoca, signora
Olga, tutta zelo e premura, preparò la tavola per la cena presso una grande
porta vetrata affacciata sul prato degradante verso il basso, così da lasciare
ampia visione dell’ondulazione collinare umbra e dei borghi secolarmente
sedimentati sui più dolci declivi. Irene e Giulio, seduti a un tavolo ovale,
raggiunti da deliziosi profumi di una cucina raffinata e naturale, ammiravano,
con eguale intensità e raccoglimento, le mille e mille luci punteggianti quel
panorama e, mentre l’imbrunire cedeva al buio, il loro sguardo si incentrò su
quel brulichio di lucine, tutte intrecciate su una stessa estensione e
irraggianti un chiarore da aureola. «Giulio, anche lei, vedo, è sorpreso da
quella nuvola di luce.
Quelle luci sono
ciò che Assisi è sempre stata, la terra dell’ascesi, la terra di cui ogni sasso
sospira la nostalgia di passi celestiali, quelli di Francesco, di Chiara, e di
tutti quelli che li hanno seguiti e amati». «Irene, quanta poesia nelle sue
parole! La sento assai vicina a San Francesco, a Santa Chiara, a Dante. È un
rifugio sempre sicuro quello che offrono religione e cultura!». «Giulio, è
troppo elevare le mie parole a poesia, né cerco rifugi; il fatto è che questa
terra ha un fascino tutto particolare ed io ne sono innamorata da sempre. Mi
sono sposata giovanissima, a soli vent’anni e ho ripreso a studiare dopo.
Quando Elena raggiunse i tre anni, m’iscrissi alla Facoltà di Lettere a Perugia
e lì mi sono laureata in lettere classiche. Può quindi comprendere perché ami
questo paesaggio, San Francesco, Santa Chiara e Dante.
Ma perché parlare
tanto di me, e lei? Di lei non so altro che quello che la televisione fa
sapere, il celebre professore di storia! Non è solo questo, non è vero? Perché
cerca Elena, perché mi ha coinvolto nella sua ricerca?» Giulio pensò di non
rivelare a Irene tutto quello che era accaduto da quando Elena gli aveva
telefonato: ancora avvertiva il paradosso della situazione e si limitò a
rispondere: «Cerco Elena, perché intendo aiutarla. Non mi chieda in che cosa.
Forse nemmeno io lo so, ma sento che lei cerca in me un appoggio, un mutamento
per la sua vita.»
«Caro Giulio credo
di doverla avvisare che Elena, da quando ha sofferto la depressione, ha sempre
suscitato negli uomini il desiderio di proteggerla, di sorreggerla. Prima non
era così. Quando il padre era vivo, lei era un modello di ragazza; orgogliosa,
volitiva, consapevole della preziosità della sua bellezza. La depressione l’ha
cambiata, condiscendente verso gli altri, reattiva verso di me.» «Altro che
depressione - pensava Giulio - ha proprio ragione la cuoca, Elena è piena di
vita, gioiosa, solare…» Irene notò lo strano sorriso di Giulio e si sentì
improvvisamente incompresa. «Giulio, forse non crede alle mie parole. Forse
crede che sia io la depressa, ma la verità sta nei fatti e i fatti sono quelli
che ho saputo da un mio amico, titolare di un’agenzia investigativa, grazie
alla quale non ho mai perso le tracce di mia figlia. Suo padre è morto quattro
anni fa e in tutto il tempo seguente Elena è vissuta tra Magione e questo
casolare. Ed è nel corso di questi anni che il casolare, grazie a lei, è
divenuto l’agriturismo che stasera ci ospita. Ho saputo che si è anche legata a
uomo, non so però in quale forma, un funzionario del Ministero degli Esteri con
frequenti incarichi in Africa. Forse l’ha seguito, lo deduco da una cartolina
che mi ha inviato da Freetown».
La bontà della cena
e il rigoglioso vino nobile di Montepulciano impedivano di far affiorare in
vigile coscienza quel turbinio d’ipotesi causato nel cervello di Giulio dal
ricorrente nome “Africa”: la terra che gli aveva sottratto l’amore di Sara, e
facilitavano, invece, il dialogo con Irene.“Irene, che, bel colore sul suo
viso, questo vino, questa cena è veramente un toccasana per noi! “Giulio,
acceso è anche il suo viso, un viso da nemmeno un quarantenne. Se Elena l’ha
visto così, se si è fatto vedere così, se ne è certamente innamorata!”.“Irene,
non sono abituato a questi complimenti, ma perché non rimandiamo a domani
l’argomento “Elena” e non impieghiamo queste ore per un’esperienza diversa ?”.
“Un’esperienza diversa,
Giulio! Che cosa intende ? E’ sorprendente la diversità fra il compassato
professore della TV e questo Giulio che oggi mi ha trascinato fuori dalla mia
quiete di casa e stasera mi propone una diversa esperienza!” Intanto, Olga, la
cuoca, nel suo andirivieni, per servire antipasti, primi, secondi, dolce,
frutta, si rassicurava nel giudizio che fra i due correva un tenero sentimento.
“Mi sembrano due piccioncini innamorati”- pensava- e, romantica com’era, sul
finir della cena, accese l’impianto di filodiffusione e le note del valzer
delle candele giunsero fino al tavolo dei due. Quella musica che un tempo
ammorbidiva i cuori e scandiva il tempo in dilatati istanti di sensuali
fantasie non produsse l’incanto da Olga favorito: Giulio e Irene si guardarono
con un pizzico d’ironia e, di comune intesa, uscirono dalla sala …La notte già
fonda e tutto il cielo stellato fecero contorno alla passeggiata di Irene e
Giulio nella proprietà dell’agriturismo e l’incanto che il valzer antico non
ridestò venne dalla danza delle stelle, dal profumo delle erbe, dal cri cri dei
grilli ….
“Che pace, che
serenità nell’animo, Irene, è come un luogo sacro che spezza la linea del tempo
e ridona la circolarità antica e noi siamo qui, in apparente tensione verso
scopi discussi, in reale esperienza di una gioia quasi dimenticata”. Irene che
già conosceva l’incanto del luogo sentiva di essere ammaliata dai modi, dalla
voce, dalle parole di Giulio e con il suo silenzio frenava l’onda dell’amoroso
desiderio ….“Irene, non parli? Vedi, mi viene spontaneo darti del tu! Parlano i
tuoi occhi e il tuo dolce sorriso, ti vedo alla luce delle stelle e della luna,
colma di bellezza e di fascino bruciante.”. Irene avrebbe voluto stringersi a
lui, accarezzarlo, baciarlo ma, con grande sforzo e sofferenza, si trattenne: “Giulio,
mi sei molto caro, ma tu hai bisogno di Elena, di una donna più giovane. Non
potrò osare di bruciare con te, io che son vecchia”.
Giulio che
avvertiva lo sbigottimento del cuore di Irene e sentiva il crescente calore
delle sue membra stava per attirarla a sé, quando il trillo improvviso e
prepotente del telefonino lo trascinò in un vortice diverso: “Giulio, ciao,
sono Sara, ti telefono dalla Sierra Leone. Qui è ancora giorno, come stai? Sei
felice? Io lo sono per te, non mi devi odiare, mi sono allontanata da te, non
per tradirti; sentivo dentro una forza che mi ha portato a essere quella che
ora sono, una suora laica. Aiuto i bambini nell’ospedale di Goderich. Hai
conosciuto Elena? Le ho parlato molto di te, di noi. e te l’ho mandata .
aiutarti a dimenticare quanto ti ho fatto soffrire…per riaprirti alla vita
…Falla felice…fallo per me…per te…Ti voglio bene…ciao…Giulio mio!...” Tramontata
era la luna, a mezzo giungeva la notte e il tempo scioglieva l’incanto in
sorprendente verità. Poi, ombre sapienti, con mani fraternamente intrecciate,
tornarono alla luce della casa, lungo il tepore delle stelle.
La casa in collina ha un sapore antico e meraviglioso...un uomo...tre donne ...due di esse lontane nello spazio e nel tempo come a lasciare tempo e spazio all'unica giusta per lui. Un tocco di sapienza letteraria e psicologica che, sempre, permea questi scritti...una analisi interiore profonda, un animo sensibile, ricco di capacità di conoscenza .Cris
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