Racconto di Paolo Brondi
Il festival di Villa Melzi era tutto
all’aperto: nel parco, assai esteso e prossimo al mare versiliese. Il buio era
sciolto in luminosità diffusa e suadente, arieggiata da numerosissime lanterne
e da fiaccole antizanzara, dal dolciastro sapore di geranio, e su tutto
scendeva il soffuso chiarore della luna piena.
Più in là, il mare rumoreggiava come un’eco mormorante “ricorda… ricorda… ricorda… ”.
Più in là, il mare rumoreggiava come un’eco mormorante “ricorda… ricorda… ricorda… ”.
Giorgio e Silvia scelsero un tavolo un
poco in disparte e la musica rock, o il ritmo facile di canzonette come Cuore,
Abbronzantissima, Una lacrima sul viso, li raggiungeva meno del mormorio
del mare e dei profumi del parco. Silvia era bella e il chiarore lunare
impreziosiva la purezza delle linee del volto con appena una traccia di trucco,
i capricciosi biondi capelli, il vestito di seta color fucsia che flessuoso
scendeva, con graziosa scollatura, ad accarezzarne il seno, il ventre piatto,
la curva dei fianchi, arrivando fino al ginocchio. Lui portava una giacca di
cachemire chiara, su camicia blu, un poco aperta sul petto, e pantaloni blu
scuro. Il volto ben rasato e abbronzato esprimeva vitalità e virile fermezza.
Qualche filo d’argento alleggeriva il nero della capigliatura; gli occhi
esprimevano tutta l’intensità della sua mente; il mento volitivo, ma delicato,
coronava la bocca dal disegno seducente e dal sorriso appena accennato e un po’
sardonico. Camerieri portavano a ogni tavolo vassoi colmi di salatini e coppe
di vino frizzante o cocktail di frutta: Giorgio e Silvia scelsero bevande alla
frutta e, sorseggiando, si guardavano occhi negli occhi, e sorridevano in
silenzio.
Il silenzio di Silvia, solo
apparentemente attenta a osservare il movimento d’intorno, destò in Giorgio
sorpresa e domande: dov’era la Silvia che con tanto entusiasmo lo aveva
trascinato a quella festa? La Silvia che, durante il viaggio in macchina, non
smetteva di parlare, accostandosi a lui con maggiore confidenza, attraverso
moti ora affettuosamente elogiativi sul suo modo di guidare, ora scherzosamente
ironici sulla sua puntigliosità nel rispettare i segnali stradali, fermandosi
al giallo come se - lei diceva - avesse paura dell’ignoto, dell’avventura, del
pericolo? Dov’era la Silvia creativa, viva, sensuale e con quella timidezza
lontana quando lasciava gli occhi parlare per lei? Silvia, in realtà, non era
sola e lontana da lui: il suo silenzio era paura di dire a parole quello che
provava: in quella festa di luce sentiva una felicità insolita. Non solo era
splendido trovarsi con Giorgio in quella circostanza, ma era importante che si
fossero incontrati nel momento giusto per riannodare insieme fili un tempo
spezzati. La felicità di Silvia s’innalzava oltre lo spazio di quella sera,
riannodandosi alla gioia, ancora fresca in memoria, del suo primo
innamoramento: illuminante, allora, solo per lei, perché la persona investita
da quel sentimento ne era completamente all’oscuro.
Accadeva al tempo della sua quarta
ginnasio: s’innamorò del liceale per lei più interessante, più elegante, più
bello fra quelli che frequentavano la Terza A . Ma lui non se si accorgeva
nemmeno: non aveva occhi che per la sua compagna di classe, Anna, la
primogenita dal prof. Sarte, ordinario di Psichiatria nell’Università; con lei
usciva, con lei andavano in pizzeria, in discoteca. Silvia non si disperava…
“Un giorno sarà mio!” continuava a ripetersi, specie prima di addormentarsi,
così da vivere almeno nel sogno i baci e gli abbracci ancora negati.
Poi il tempo illanguidì quell’amore
iniziale: Giorgio Lenzi, uscito dalle aule del Liceo, mancò alla vista di
Silvia per molti anni. Lo ritrovò quando ormai era divenuto docente
universitario, nella conferenza che, anche lei ormai laureata e ricercatrice,
era andata a sentire insieme alla sua amica Lucia e che aveva preceduto di un
solo mese l’incontro alla mostra di pittura. La felicità, spesso turbata da
eventi di segno opposto che pure possono maturare una diversa ed esperta
coscienza esistenziale, Silvia l’aveva vissuta sposandosi, a solo ventidue
anni, con Mario, un ingegnere informatico il cui ordine di vita era riposto
essenzialmente nella logicità dei numeri e delle forme. Tutto il resto, perfino
la moglie, era relegato a una quotidianità appiattita e ingrigita, con continue
cadute di senso e contrazione di ogni entusiasmo. La gioia di Silvia, la sua
passione e la voglia di vivere con tutta la sana pienezza, erano da Mario
costantemente frenati e ricondotti a misura.
Silvia rimase legata a Mario otto anni.
Furono anni di progressivo malessere e di continua, sottile, sofferenza, causa
la crescente opacità della quotidianità; un dialogo sempre più raro e
banalizzato, un continuo rifuggire da scelte in comune: una festa di
compleanno, una cena con gli amici più cari, un regalo, e quindi impoverita di
alcuna intimità. Infine, cercò rimedio in situazioni choc, con lo scopo di
spezzare radicalmente lo scorrere routinario e di introdurre nei propri giorni
possibilità prima solo sognate o fantasticate, oltre le misure, oltre la
razionalità, oltre Mario! A trenta anni, ottenne la separazione consensuale.
«Silvia, vuoi ballare? Mi hai chiesto
di portarti qui per ballare, non è vero?» «Sì, Giorgio, scusami. Si sta tanto
bene qui. Aspettiamo ancora un poco.». Lui le prese la mano e lentamente se la
portò alle labbra… un bacio lieve su una mano delicata e fredda. La scaldò e
poi prese ad accarezzarla lentamente. Silvia, fortemente turbata, stava per
dire qualcosa, ma si trattenne. Avvertiva il sorgere di un rapporto dolcissimo,
ma temeva la forza dello stupore che si traduceva in una spinta a una
disponibilità senza limiti verso una affettuosa intimità con Giorgio. Di colpo
provava indifferenza per le vicissitudini della vita, per il malessere, le
delusioni e le frustrazioni subite, colmata d’una essenza preziosa: l’amore,
aurorale nell’adolescenza, assolato e maturo, ora che compiva 33 anni!
«Silvia, mi sorprendi! Quale silenzio,
quale mistero appare ora, in questa notte così chiara, c’è la luna, c’è la
luce. Non senti i profumi dell’estate: perché “mistero”?» «È un mistero da non
confondere con la comune segretezza, apre, invece, alla riflessione, alla
interiorizzazione, alla separazione fra il dominante grigiore e la luce della
scoperta, della riscoperta di te, Giorgio.» «Di me?, la riscoperta… Perché? »
Per lei parlarono gli occhi. Rispose ai perché di Giorgio con crescente
intensità dello sguardo. I suoi occhi vollero esprimere messaggi alati d’amore,
carezze velate di gioia, baci come sospiro divino, abbraccio di anime da
naufragio salvate. Giorgio si fece più serio: leggeva negli occhi di Silvia
l’invocazione a un tipo di amore che gli era sconosciuto; un amore diverso
dalla fusione immediata, dal contatto per galoppante erotismo. Un amore, non
cumulo di frantumi, non egoità ed egoismo, ma unione fra due solitudini che
ritrovano il gusto di un nuovo incontro, di una nuova, straordinaria,
avventura.
Intanto la musica filtrava più chiara
fra gli alberi del giardino e le note del il Tango delle rose,
risvegliarono in Giorgio lampi di immagini e il ricordo assunse figurazioni più
nette: rivedeva occhi di intensità paragonabile a quella che esprimeva Silvia.
Occhi che lo colpirono quando alla festa di fine anno della sua Terza Liceo,
una ginnasiale gli si avvicinò per chiedergli di comprare un biglietto della
lotteria studentesca, non la voce, ma gli occhi, così intensi, lo indussero ad
acquistare più di un biglietto. Non ricordava più il viso di quella ragazza, ma
gli occhi sì, e la nuvola bionda dei capelli e le parole con cui accompagnò la
consegna dei biglietti: «Sarai sempre felice…». Restò impressionato e turbato dalla
spontanea intensità di quella ragazza, ma non riuscì a chiederle il nome. Lei
si dileguò subito, confusa fra i ragazzi. In lui rimase solo la traccia di quel
momento.
Giorgio sorrise con intenso sollievo e,
presa la mano di Silvia, la indusse ad alzarsi…«Andiamo, vieni con me, lasciamo
questa festa e andiamo incontro alla nostra felicità.» Giorgio guidò Silvia
verso il mare non lontano. La sabbia era tiepida, e il ritmico canto del mare
verso la luna sopra sospesa e rosseggiante, rendeva sciolto e facile il
sussurro di Giorgio: «Sei tu… sei proprio tu, dimmi che è vero! La ragazza che
mi disse “sarai felice…”. I suoi occhi, i tuoi occhi, mi hanno sempre
accompagnato, non sapevo perché, non ricordavo di chi fossero. Ma sempre mi
sono riapparsi in sogno come un ideale, un fine da raggiungere… e ora sei qui,
siamo insieme!»
Silvia non lo lasciò finire, d’impeto
lo abbracciò e vennero i baci sognati, le carezze sospirate. In pochi secondi,
anima e corpo si fusero in un tenerissimo abbraccio, poi la sabbia si mosse, si
sparse più in là, offrendo, insieme al profumo del mare, culla ai loro corpi e
le mani trovarono luoghi familiari e ogni segreto rifugio fu reciprocamente
donato nell’eterno gioco d’amore.
Sono entrata dentro il racconto e ho assaporato ogni emozione, ogni visione, ogni momento vissuto da Silvia e Giorgio.
RispondiEliminaGrazie per queste pause di dolce piacere....
Lucia
L'amore inizialmente negato,si riprende d'improvviso i suoi spazi! Ma non parla,non fa rumore:soltanto gli occhi fatti di lampi,intensi,misteriosi e lo sguardo che invoca un amore finora sconosciuto,esprimono l'invocazione a dar corpo a silenziosi messaggi amorosi...spesso l'amore e'tale:muto attende il suo tempo, e cerca il suo spazio, senza fretta ma ostinato.
RispondiEliminaRaramente ho letto racconti dove l'amore fosse cosi dirompente e vincente,eppure cosi vestito di modestia e quasi pudicizia. L'eleganza dei termini usati,delle costruzioni sintattiche adoperate fanno, di chi scrive , un raffinato cultore e conoscitore di questo sentimento ai piu'ahime'sconosciuto.
Cris