Racconto di Vespina
Fortuna
Tratto da “Donne
maledette”
(ap) Una raccolta di storie
(immaginarie) di donne che hanno vissuto sulla loro pelle un orrore, diverso
per natura, ma sempre lacerante, affrontato con una forza disperata, alla
ricerca di una via di uscita, forse impossibile da trovare.
Non ti ho mai
lasciato, figlio mio, non ti ho mai abbandonato, che tu lo creda o no. Ti ho
affidato al mare perché si prendesse cura di te e anche perché non ho avuto
altra scelta.
Non ti ho mai voluto né mai ti avrei potuto avere. Eri il frutto marcio del mio martirio. Come ti avrei guardato negli occhi, ogni mattina? Come avrei potuto nutrirti e gioire nel vederti crescere forte e sano? Come avrebbe potuto piacerti il mio latte avvelenato? Figlio di una madre e del proprio nonno, di una donna usata eppure casta agli occhi di tutti. Di un vecchio pazzo che ha creduto di sostituire la moglie morta con la prima delle proprie figlie. Nessuno lo sa, questo è il mio segreto oscuro e tu nascendo avresti svelato al mondo intero la sua follia e la mia colpa. Ho dovuto rinunciare non solo a te, figlio mio, ma anche a tutti quelli che mi hanno chiesto in moglie, perché questa era la regola se volevo rimanere viva. E oggi mi domando: sono viva? Perché ho accettato passivamente di vedere tutte le mie sorelle sposarsi, accompagnate all’altare da quel padre che mi era diventato marito, mio malgrado? Non ho mai gioito nel vederle maritare né nel tenere in braccio i loro figli perché in loro ho visto le mie rinunce. Mi guardo allo specchio e vedo un tronco d’albero senza più foglie né voglia di germogliare. Non ho deciso di vivere allora, ma di morire di nascosto, in silenzio, nella rassegnazione dei vigliacchi e degli ipocriti. E ti ho messo nel mare come solo una femmina vigliacca avrebbe fatto, per non doverti guardare e dover gridare al mondo la mia condanna.
Non ti ho mai voluto né mai ti avrei potuto avere. Eri il frutto marcio del mio martirio. Come ti avrei guardato negli occhi, ogni mattina? Come avrei potuto nutrirti e gioire nel vederti crescere forte e sano? Come avrebbe potuto piacerti il mio latte avvelenato? Figlio di una madre e del proprio nonno, di una donna usata eppure casta agli occhi di tutti. Di un vecchio pazzo che ha creduto di sostituire la moglie morta con la prima delle proprie figlie. Nessuno lo sa, questo è il mio segreto oscuro e tu nascendo avresti svelato al mondo intero la sua follia e la mia colpa. Ho dovuto rinunciare non solo a te, figlio mio, ma anche a tutti quelli che mi hanno chiesto in moglie, perché questa era la regola se volevo rimanere viva. E oggi mi domando: sono viva? Perché ho accettato passivamente di vedere tutte le mie sorelle sposarsi, accompagnate all’altare da quel padre che mi era diventato marito, mio malgrado? Non ho mai gioito nel vederle maritare né nel tenere in braccio i loro figli perché in loro ho visto le mie rinunce. Mi guardo allo specchio e vedo un tronco d’albero senza più foglie né voglia di germogliare. Non ho deciso di vivere allora, ma di morire di nascosto, in silenzio, nella rassegnazione dei vigliacchi e degli ipocriti. E ti ho messo nel mare come solo una femmina vigliacca avrebbe fatto, per non doverti guardare e dover gridare al mondo la mia condanna.
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