Caprichos di Francisco de Goya |
I rischi nel tramonto della ragione e dell’ottimismo: i Capricci di Goya
di
Paolo Brondi
Non
solo la scienza, ma anche l’arte, nel nostro mondo contemporaneo, ha messo in
crisi la nozione di oggetto così come per secoli era stato assunto nella
cultura classica.
Profonda
è stata la rivoluzione, cognitiva e culturale, nella conoscenza del mondo,
portata dalla teoria dei paradigmi scientifici di Thomas S-Kuhn; dalla teoria
delle catastrofi di Renè Thorn; dalle enunciazioni di Ilya Prigogine, circa
l’avvento di un nuovo tipo di temporalità, dislocalizzata e creativa; dalle
nuove matematiche; dalle geometrie dinamiche e qualitative; dalle fisiche post
quantistiche; dalle scienze neurobiologiche.
Nel
campo dell’arte questa nuova emergenza si può far iniziare da Goya: il Goya dei
Capricci, dei Disastri della guerra, dei Disparates
e delle pintura nigras della sua Quinta
del Sordo. Goya rivoluziona le forme settecentesche e neoclassiche,
scavalcando il suo secolo per muovere incontro alle più grandi rivoluzioni
formali della pittura contemporanea, dell’espressionismo e del Surrealismo.
Va
rilevato che questa violenta rottura dei vecchi modelli e degli schemi figurali
avviene in una situazione storica di terribili passioni e delle razionali e
irrazionali disperazioni, individuali e sociali. Quando Goya nei suoi ultimi
anni scriveva “In natura il colore non esiste e neppure la linea: non c’è altro
che il sole e ombre” voleva dire che non esistono forme e figure immobili,
staticamente iperuraniche davanti a noi, ma che i mondi sono mondi di
apparizioni che si fanno e si disfanno nel gioco mutevole delle luci e delle
ombre e il resto è nulla.
Per
Goya non sembra dubbio che i mostri dell’oppressione e della distruzione
dell’uomo, generati dal sonno della Ragione, della Ragione ottimistica, buona e
protettiva, sono quelli che travolgono l’uomo nel fiume di ombre e di sangue
del tempo, di Saturno che divora i propri figli fino alle soglie vaneggianti
del nulla, che è alle porte della vita e della morte.
Lungo
questa linea si pone pure Picasso che, affermando “Mi piace quando le cose
diventano altre”, di colpo sottrae i principi d’identità e d’immobilità
dell’essere alle forme classiche, gettandole in movimento insieme al riscatto
di ogni punto morto dell’universo oggettuale.
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