Renato
Guttuso. I ricordi del passato, le immagini del presente: un riassunto
autobiografico
di
Marina Zinzani
(Con un intervento di Angelo Perrone)
La
tristezza negli occhi
si
riconosce quello sguardo
è
quello delle persone spente
che
sono state spente
ogni
giorno
un
po’ ogni giorno
una
parola prima
atteggiamenti
per polverizzare
quello
che di vivo c’era
rimane
poco di queste persone
vittime
lo
sguardo abbassato
il
rinchiudersi
sorridere
con le labbra stanche
triste
triste triste
è
la vita spenta
da
una persona più forte
vicina
riprendersi
la dignità
urlare
aprire
la finestra
e
sentirla, ancora
la
speranza.
(ap) “Le età
della vita” era il titolo prescelto da Renato Guttuso (1911-1987) per
sintetizzare il senso di un’opera (1982) che racchiude la sua eredità
spirituale, prima che lo cambiasse in quello di “Spes contra spem”, sperare
contro ogni speranza, tratto dal testo della “Lettera ai Romani” di San Paolo.
Il tema del
trascorrere del tempo, accennato con la raffigurazione di un uovo e un teschio,
l’inizio e la fine della vita appunto, si amplia così a dismisura in
quell’ampia stanza ritratta nel quadro, densa di personaggi e cose, aperta su
un balcone che affaccia verso il mare siciliano. Gli uni colti in momenti
diversi della loro esistenza e variamente affaccendati. Le altre, di natura
assai eterogenea, espressive di molti significati.
Un impianto
spaziale complesso ed articolato, ricco di spunti e di riflessioni, per
raccogliere i ricordi del proprio vissuto in una straordinaria cerimonia degli
addii, e per raccontare le impressioni tratte dal presente.
I luoghi del
sentimento comprendono innanzi tutto la memoria infantile e minacciosa dei
mostri di Villa Palagonia a Bagheria ma essi sono ritratti in alto, ricacciati sul
soffitto e forse nell’animo: la loro incombenza è attenuata nel passaggio dal
colore blu scuro con cui sono ritratti sulla sinistra a quello celeste tenue che
appare sulla destra.
La stanza raffigura
lo studio del pittore, ed è affollata di figure e oggetti. Da un lato
personaggi raccolti intorno a un tavolo con gli strumenti da lavoro ed una tela,
ed immagini che richiamano il passato e vengono da lontano, come i libri, il
telefono, la sedia di vimini, i drappi; dall’altro amici impegnati nel presente
in un pacato discorrere.
In primo piano,
una bambina corre velocemente senza una meta sfrecciando davanti agli occhi
dello spettatore: è l’unica immagine di un’azione dinamica, in contrapposizione
al lento incedere dell’esistenza espresso dalla figura della tartaruga, da cui
i passi della fanciulla sembrano avere inizio. In quel progredire dalla
lentezza infantile alla velocità adulta è lecito supporre che sia sempre bello
sperare contro ogni speranza.
Cose e simboli emergono
da sedimentazioni dell’animo di cui spesso ci sfugge la profondità e possono
rappresentare il riassunto autobiografico di un’esperienza di vita, tra passato
e presente.
Il centro della
scena, nonostante la folla di immagini, è comunque occupato dal nudo di donna
rivolto verso una finestra, che apre la sua vista sul paesaggio di mare colto
nella sua luce mattutina. Un diaframma, quella finestra, assolutamente
trasparente che non divide il privato di ciò che è contenuto nella stanza dal
pubblico che fluttua fuori.
La suggestione
che proviene da quella figura femminile affacciata alla finestra trascende il
potere attrattivo della pur intensa nudità e si identifica invece nel richiamo
seducente del senso dell’attesa di fronte alla vita. E’ un atteggiamento che si
nutre di curiosità, privazione, anche esibizionismo, comunque voglia di
libertà, ed è immerso in una rarefatta dimensione di quiete e di sospensione, in
cui è possibile cogliere l’essenza più profonda dell’esistere.
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