Zygmunt Bauman, la società liquida e le paure che attraversano il nostro tempo
di Marina Zinzani
di Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)
(ap)
Il mondo e le sue incertezze; la solidità che ha accompagnato lunghi tratti del
percorso sociale dell’ultimo secolo incrinata tragicamente dagli esiti dello
stesso progresso che la modernità aveva sostenuto. Zygmunt Bauman (1925 – 2017), traendo spunto da
diverse scienze sociali, ha esplorato i passaggi cruciali dello sviluppo
storico europeo e mondiale, disvelandone le logiche sottostanti.
Il suo nome è legato alla brillante metafora della “società liquida”, espressione che rappresenta la descrizione e l’essenza stessa della società in cui viviamo e delle sue caratteristiche principali: la rapidità, la permeabilità, la mutevolezza.
Il suo nome è legato alla brillante metafora della “società liquida”, espressione che rappresenta la descrizione e l’essenza stessa della società in cui viviamo e delle sue caratteristiche principali: la rapidità, la permeabilità, la mutevolezza.
Un
mutamento epocale verificatosi con il passaggio dal lavoro materiale a quello
immateriale, con la diffusione delle nuove tecnologie, con la globalizzazione,
la precarizzazione del lavoro, la nascita di nuove e drammatiche povertà. Una
crisi profonda, accompagnata dal crollo delle ideologie e dalla recessione
economica, che ha lasciato il mondo senza certezze e l’individuo alle prese con
una modernità appunto “liquida”, indeterminata e indecifrabile, troppo vicina
al caos.
“Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di
vita – osservava Bauman - è notoriamente
instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li
offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui
godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia in noi stessi che
ne conseguono.”
Una
voce, la sua, indignata ma anche rassicurante, perché nonostante tutto non era
pessimista. Ha sempre ribadito che per raggiungere un nuovo equilibrio ci vorrà
molto tempo, da impiegare nella sfida alle incertezze e nella lotta alle
illusioni. Un compito ed una responsabilità lasciati ormai ai giovani in questa
fase di profonda trasformazione degli assetti sociali.
Ci
mancherà quel volto buono da vecchio nonno, critico ma non brontolone, con i
lunghi ciuffi stravaganti di capelli bianchi alle tempie, la pipa tra le labbra, che sapeva parlare alla gente con garbo e
umanità.
Ho
paura dei ladri. E’ frequente ormai avere una visita dei ladri. Anche all’ora
di cena. In campagna poi si sentono cose incredibili: varie case visitate in
poche ore. Se poi capita all’ora di cena, e il ladro è lì, in garage, o nella
porta che dà sul retro, cosa si può chiedergli: vattene, chiamo i Carabinieri,
oppure prendi tutto quello che vuoi ma vai via subito, oppure vuoi accomodarti,
cenare con noi?
Ho
paura di non avere la pensione. Sono giovane, è una bella cosa essere giovani,
si dice. Ma mi hanno detto che dovrò lavorare fino a settant’ anni.
Settant’anni: dunque, considerando che non entrerò nel pubblico, un datore di
lavoro privato farà di tutto per mandarmi via prima, e quindi sarò vittima di
mobbing, oppure verrò licenziato con qualche scusa e mi troverò non ancora
settantenne disoccupato e senza pensione. Devo sperare di invecchiare presto,
per andare in pensione.
Ho
paura di non trovare la donna giusta. Sono giovane, d’accordo, e dicono che sia
un bel ragazzo, bravo, pieno di qualità. Il desiderio di costruirmi una
famiglia si mischia alla paura di non riuscire a mantenerla, di mettere al
mondo un figlio che anche lui andrà in pensione a settant’anni. Forse
settantacinque allora, perché penso, non so come, che le cose non miglioreranno.
Se mia moglie poi si stanca di me, dovrò mantenere anche lei, lasciarle la
casa, e io finire chissà dove, a pagarmi un affitto, con il lavoro che chissà
se riuscirò a mantenere fino a settant’anni.
Dunque:
sono un ragazzo che crede nel futuro, che ha tanta voglia di fare, di
costruirsi una propria vita, e di dare il proprio contributo perché il mondo
sia migliore. Però troppa gente, apparecchiata in tavole in cui ha mangiato, e
mangiato, e mangiato fino a stare male, non ha pensato a me, che non sono nessuno.
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