Il compito della cultura, soprattutto oggi, è quello di contribuire a
rendere più umana la vita di ogni giorno
di
Paolo Brondi
La
parola cultura è forte. L’immaginazione prefigura che possa essere identificata
con l’intelligenza e il buon gusto: una voce capace di rompere il gelo, il
silenzio, l’indifferenza che ora dilaga fra i più, restringendone le opinioni e
le scelte entro isole di egoismo. Vogliamo sperare nella rinascita della
cultura, non dogmatica o monolitica, ma dialettica e polemica.
La
cultura che rifletta inquietudine e ricerca, che proponga domande, non risposte
già confezionate, che costituisca un terreno ove tutti possano incontrarsi,
destra, centro, sinistra, per generare un patto, o un partito, il partito
dell’intelligenza! Il suo compito potrebbe essere quello di insegnare a
riumanizzare la vita umana, a restringere gli spazi dell’incultura, di tutte
quelle forme di potere che, in coerenza con le mode dei tempi nuovi e
progressivi, rispondono ai desideri della gente, con roboanti o sfarzosi
programmi, ignorando che l’operazione non è culturale. E’ la portavoce del più
sfrenato consumismo, sì un consumismo anche dell’anima che è già logorata
abbastanza dalla prepotenza dei media.
La
cultura potrebbe salvare la storia della città, delle sue cerchie urbane e
sociali, dei suoi piccoli negozi, della sue piazze, delle strade ombreggiate da
pini e platani, recuperando un poco d’antico, anche attraverso le forme e i
contenuti della più sana tradizione poetica, musicale, pittorica, scultorea,
teatrale. Sarebbe la fonte dove noi uomini d’oggi torniamo ad abbeverarci non
solo di bellezza, ma di una dimensione umana che è bella anche quando è priva
di particolari privilegi.
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