Giovani alla ricerca della felicità, le parole del
filosofo
di Paolo
Brondi
Percorrendo la via dei filosofi, a Kaliningrand-
Konigsberg, mi sono recato a visitare la
tomba di Immanuel Kant: profondo lo stupore di trovare così tanti giovani a
rinverdire la memoria del padre di una radicale reinterpretazione del cielo,
dell'apparenza, dell'ignoranza e del male. Del sapiente difensore di un mondo
riportato alla luce da valori perenni, come può essere perenne la ragione umana
o la riflessione scaldata da sentimenti condivisi.
Era un mattino autunnale e il sole
intiepidiva il muro della cattedrale gotica presso cui era posta la
tomba. Il gioco delle guglie, dei pinnacoli, lo scintillio delle vetrate,
attiravano e allontanavano lo sguardo producendo un turbamento strano, come
presagio della caducità di tutte le cose. Mi tornava in mente un passo della
"Teoria del cielo" ove Kant commentava: ´Tutto ciò che è perfetto,
tutto ciò che ha un moto e un'origine porta con sè l'impronta del limite
imposto alla sua natura: quindi deve finire, deve morire. La fragilità è,
purtroppo, innato retaggio delle nature finite e lavora senza posa per la loro
distruzione.ª (Kant, Storia generale della
natura e teoria del cielo, Editrice O.Barjes-Roma,1956).
Eppure, tutti quei giovani, forse studenti liceali in
visita di studio, non apparivano di certo fragili ma pieni di entusiasmo,
liberi di cantare, di suonare chitarre e flauti, e quindi piuttosto in linea
con l'idea di felicità predicata da Kant: appagamento di tutte le nostre
inclinazioni (sia estensive, riguardo la loro molteplicità, sia intensive,
rispetto al grado, sia anche protensive, rispetto alla durata (Kant, Critica della Ragion pura, ed. 1976 ).
In coerenza con il senso dell'esistere, dedotto da
Kant, facile è riguadagnare la gratitudine verso le sorti della vita che
insieme alla morte non esclude la speranza, la tensione al superamento di
sofferenze e dolori, al cambiamento, alla riscoperta e difesa del mondo giusto
e rispettoso verso tutti.
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