Momenti sparsi, mentre ci
padroneggiano gli ingranaggi della giornata
di Giovanna Vannini
Una giornata grigia, di quelle spente, scrosci di pioggia s’intrufolano
nel silenzio della valle, fanno un po’ rumore, lasciano la scena, umida e
fredda come se fosse l’autunno a battere all’uscio e non la primavera. L’auto
da sola viaggia.
“ Appena metto piede in casa accendo il camino, una bella stiepidita
con la legna rimasta, tanto per buttare fuori l’umido…” – così a mente mi dico,
mentre l’autoradio suona francese. Apro appena il finestrino perché il vetro
non si appanni. Sul sedile accanto a me l’obiettivo.
“Dopo la curva c’è uno spiazzo” – ancora a mente mi dico - Chiudo la
cerniera del giacchetto fin sotto la gola, scendo. L’aria è pungente, richiama
dicembre. Tra le mani la macchina fotografica, posiziono, scatto. Non sarà né
sul grigio, né sulla pioggia, e nemmeno sulla nebbia che mi incontra, scatterò
su ciò che vorrei che fosse: paesaggio in pastello, cielo terso, come quelle
mattine d’estate che esco prima per regalarmi il tempo di sognare.
Il tempo di sognare arriva sempre quando il tempo invece sfugge. Ogni
volta la stessa storia, le giornate stritolano gli intimi attimi, la fuga
s'affaccia e poi latita, gli ingranaggi del quotidiano padroneggiano. L'auto ha
proseguito il suo viaggio alla meta. Scendo senza fretta, mi attendono le
pareti dell'ufficio con affaccio sui palazzi, l'aria viziata da aliti migranti.
Prima di chiudermi il portone alle spalle, sbircio il cielo in pausa da
pioggia. L'aria è fresca, è quella delle sette a ora solare, e un raggio di
sole annacquato illumina il vaso di gerani in crescita sul davanzale del
balcone di fronte. Avrei anche il tempo per un caffè ma il piede è già
nell'antro del palazzo e la testa sulle scartoffie.
"Bernardo, mmm….dormito male o qualcuno ti ha tirato giù dal
letto?"
Sorrido e scuoto la testa. Alice è brava donna e encomiabile collega,
ma il suo dire mattutino si ripete fedele a giorni alterni. Liliana, altra
collega, alza gli occhi al cielo e sospira, quasi volesse sostituirmi in quel
fare. Le butterei un bacio con lo "schiocco" accompagnato dal mio
occhio languido, se non continuassi ad essere, nonostante il mezzo secolo in
arrivo, perdutamente e senza scampo imbranato con le donne.
La prima pratica m'immerge, mi risucchia. Ne esco solo dopo aver
martoriato il mio ciuffo ribelle e la tastiera del computer. Alzo gli occhi che
Giulio già pronuncia: "Caffettino?..." Annuisco, mi
sgranchisco e ci avviamo.
Giulio, amico da ufficio, quando sono in confidenza con me stesso lo
chiamo "due parole": due parole sul tempo, sulla politica, sul
calcio, di più fatica, almeno con me, a rimetterne insieme, ma per quello che
abbiamo da dirci è già abbastanza. Comunque è un buon diavolo, alto un metro e
ottanta, con faccia morbida e gli occhi sinceri, si tiene in forma facendo
lunghe camminate sui sentieri di montagna del paese natio, dove quasi ogni fine
settimana torna a far visita agli anziani genitori. Anche lui single, è così
che si dice no?... Pinzo non è più di moda. A differenza mia, a lui seni,
cosce, e bei culi gli passano ogni tanto a portata di mano, e quando la merce
lo appetisce si toglie la fame. Forse dovrei approfondire la sua conoscenza,
farmi dare qualche dritta, in fondo la diversità accresce...
Quando rientriamo in ufficio Liliana ha gli occhi rossi e si soffia il
naso, appena ci vede incurva le spalle, si abbassa, lasciando che il monitor
del pc la nasconda. Giulio riprende posto, non credo ci faccia caso, io invece
rimango interdetto in piedi accanto alla sedia e aspetto: vorrei che Liliana mi
cercasse, mi chiamasse con un segnale solo nostro pattuito non so quando,
vorrei poterla ascoltare. Quei pochi secondi di attesa mi sconquassano,
stremato dal non sapere come sempre cosa fare, rumorosamente mi siedo, nella
speranza che lei mi guardi, che io mi dia un'altra chance per non soccombere di
nuovo alla mia imbranataggine. "Bernardooo, ti piace il rumore???..."
– così, Alice, perde di nuovo l'occasione per tacere-
“Appena metto piede in casa accendo il camino, una stiepidita con la
legna rimasta, tanto per buttare fuori l’umido…” -così a mente mi ridico
risalendo in macchina a fine giornata.
Il sole sta prendendo la via del tramonto, il vento spazzino pulisce il
cielo dalla nubi ancora rimaste, il giacchetto finalmente è di troppo. Metto in
moto l’auto, spengo, prendo lo zaino con macchina e obiettivi, riscendo. C'è
una luce che mi agguanta l'anima, devo catturarla, imprigionarla nel
fotogramma.
Respiro forte, scelgo la direzione, mi sento chiamare: è Liliana. Mi
paralizzo. Ripenso ad ogni occasione perduta con lei. Emozionato e rigido le
vado incontro. Il caminetto scoppietta lento, si è fatto buio, maggio bussa. Anche
oggi ho avuto il tempo di sognare.
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