Saverio
Motta e Laura Baldi, ormai conviventi, vivevano tranquilli in una villa, da lei
acquistata per una fortunata occasione, a Fiesole. Vi si accedeva varcando un
cancello di ferro battuto e con aste intrecciate e in alto spadiformi e
attraverso un viale fiancheggiato da elevati cipressi. A destra del cancello si
trovava un portoncino recante la targa “Dr. Saverio Motta, radiologo”.
Aveva
trasferito lì il suo studio e florida era la sua attività, circoscritta
tuttavia nelle sole ore del mattino, dalle 8 alle 14, non ricevendo richieste
di appuntamenti pomeridiani. Così, rimaneva libero quasi tutti i pomeriggi e
solo.
Laura
infatti, promossa a commissario capo, aveva da reggere nuove responsabilità e
gli impegni crescevano giorno dopo giorno. Usciva quindi al mattino e tornava
alla sera e spesso, quando i casi delittuosi risultavano complessi e gli
accadimenti in luoghi diversi da Firenze, nemmeno tornava a casa, ma rimaneva in
sede, o là ove l’indagine ne richiedeva la presenza. Certo non mancava di
telefonare al compagno anche più volte durante il giorno o la notte.
A
Saverio non rimaneva che affrontare il problema di impiegare le ore in cui
rimaneva solo …Si dedicava alla lettura, al tennis, al podismo lungo i viali di
Fiesole…ma, a poco a poco, si insinuava la noia e la stanchezza e con essa il
riaffermarsi di sentimenti di sottile disperazione e si macerava dentro:
sentiva gravare su di sé un’ombra, la paura infantile di non essere meritevole
di amore. La villa aveva un parco bisognoso di essere accudito e Saverio pensò
anche a quello: raccolse le foglie secche, innaffiò i fiori, cercò perfino di
dissodare la terra per creare un piccolo orto. Ma non era quello il suo mestiere
e non abituato a rapportarsi alla terra, ricadeva sempre nello stesso giro di
pensieri e per risollevarsi, spesso, si sedeva su una provvida panchina
contemplando l’ora crepuscolare, sperando che fosse veramente chiaroveggente,
come suggeriva Pirandello, per un uomo come lui minacciato di dispersione delle
tante illusioni-certezze.
Solo
quando Laura tornava e lo abbracciava con tenerezza e passione, tutta solare e
paga di sé, sentiva sciogliersi le illusioni e si rendeva sereno e felice. Nei primi tempi della
convivenza, spesso cenavano al lume di candela e lui si perdeva
nell’ammirazione e nel desiderio della sua donna. La cena era frugale, ma
ricercata: tartine al caviale; roast-beef e insalata russa; un potage alla
zucca; macedonia di frutta, una coppa di prosecco; un caffé…
Poi
passeggiavano un poco nel parco e si scambiavano tenere effusioni. Le braccia
di lui la cingevano e lei posava delicatamente la testa sulla sua spalla:
camminavano così e se c’era la luna si fermavano a guardarla e a sussurrarsi
parole alate. Nelle ore d’amore si scambiavano baci frementi su ogni parte del
corpo, in una ricerca continua di nuove sensazioni, e quando la passione li travolgeva, immensa era la beatitudine
che si donavano nel completarsi e diventare un’unica unità…
Ma
cosa accadeva quando al mattino lui allungava la mano per accarezzare lei,
trovando invece il vuoto...? Laura usciva prestissimo, per evitare l’ingorgo
mattutino delle auto e raggiungere agevolmente l’ufficio, e senza svegliarlo lo salutava con un leggero
bacio sui capelli. Lui, ancora insonnolito, annaspava e la invocava senza
risultato fino a che si raddrizzava e realizzava la concretezza dell’ora…
Affioravano pensieri dubbiosi … si radicava in lui l’immagine di Laura dedita
essenzialmente al dovere, e marginalmente all’amore.
Via
via che i mesi passavano si intensificava il suo impegno commissariale, per
indagini sempre più sofisticate e complicate, tanto che sovente si portava
anche a casa documenti su cui meditare, o si ripetevano le sue assenze. Mentre,
ciò che lui cercava, anelava, desiderava, era l’amore, gli abbracci, i baci, la
passione notturna e, solo così appagato, anche il dovere veniva affrontato con
efficienza e dedizione.
In
un mattino in cui Laura era assente e gli aveva comunicato che sarebbe tornata
solo dopo tre giorni, la solitudine lo rendeva quasi furibondo, ma ad un tratto
lo fece sussultare il suono del campanello del suo studio. Erano appena le otto
e poiché l’orario delle visite iniziava alle nove decise di non aprire a chi si
mostrava così importuno. Ma il campanello continuava a suonare fino a destargli
una potente rabbia che lo indusse a correre nel viale e infine a precipitarsi
nello studio e aprire la porta esterna con cattiveria e con una foga che fece
balzare assai indietro la persona in attesa.
Ed
ecco la sorpresa che destò in entrambi lo stupore. Quando Saverio aprì con veemenza la porta del suo studio non credette
ai suoi occhi! Di fronte a lui stava una fanciulla giovanissima, immagine
speculare sua e di sua madre: nel taglio dei capelli, biondi e fluenti, nel
colore degli occhi… marroni con striature verdi, nelle fattezze del viso. Lo
stupore lo lasciò muto ad osservarla.
“Buon giorno…sono tua sorella”. Mi fai entrare o devo
rimanere qua al freddo?
“Mia sorella? Io non ho sorelle …che cosa inventi?
“Ma via …non mi vedi…sembriamo gemelli…me lo ha sempre
detto nostra madre…siamo uguali …anche di carattere!
Saverio sentiva il cuore battere con più forza…ma
acconsentì alla sua richiesta e la fece accomodare su una poltroncina della
sala d’aspetto.
”Nostra madre? Come puoi dire “nostra” madre … io non ti
ho mai visto né conosciuta!”.
“Eh sì…in questo nostra madre ha sbagliato…non ci ha
fatto incontrare…io ho sempre vissuto con mio padre, anche se la mamma mi
veniva a trovare ogni settimana.”
“Ammesso che tutto questo sia vero e indubbiamente ti
trovo somigliante…a questo punto dovresti farmi conoscere la verità.
“La verità è in questa lettera che nostra madre mi ha
pregato di portarti”.
“Saverio, figlio mio amato, per molti anni ho
conservato il segreto di un amore che ha trasformato la mia vita e il cui
bellissimo frutto è Patrizia, tua sorella. Tuo padre è sempre stato buono con
me. Ci siamo amati, ti abbiamo generato, ma anni dopo anni ho dubitato di
vivere, accanto a lui, la mia vita. Ho incominciato ad intensificare il mio
lavoro fuori casa e infine ho ritrovato il primo amore della mia gioventù: un
ragazzo, divenuto uomo, collega di lavoro. Ma quando tuo padre ci ha
abbandonato, probabilmente perché aveva capito tutto, e tu eri già medico
affermato, i nodi si sono sbrogliati e il tempo di crescere mia figlia si è
dilatato. Ed ora ti prego di comprendermi e di accoglierla, aiutandola a
raggiungere il suo scopo che è quello di diventare medico come te. Ti abbraccio
forte. Forte…Tua madre.”
Saverio ebbe bisogno di tempo per metabolizzare lo choc:
aprì la vetrinetta ove erano riposti liquori e si versò una buona dose di
cognac, offrendolo anche alla giovane. Ora tutto era chiaro. Sua madre, quando
si allontanava da casa non lo privava di amore, essendo in grado di
intensificarlo per entrambi i suoi figli. Suo padre non si era allontanato per
disamore verso la famiglia, ma perché volentieri aveva sempre lasciato fare
alla moglie e infine aveva scelto la rinuncia per donarle la gioia di vivere la
sua vita.
Patrizia attendeva paziente che il fratello le dicesse
qualcosa. Avrebbe voluto tanto conoscere i suoi sentimenti …Ma continuava ad
essere tutto concentrato in sé e muto.
Poi, d’improvviso, lui si avvicinò a lei, la fece alzare
e l’abbracciò. Patrizia ricambiò l’abbraccio. “Spero di aver trovato un
fratello” - disse piano, quando l’abbraccio si sciolse. ” Certamente -rispose
Saverio- siamo entrambi parte di quel mondo di amore che è nostra madre. Ma.
Vieni…usciamo dallo studio. Ti porto a far colazione in un bellissimo bar.”.
Patrizia sorrise e quindi i due fratelli si avviarono verso il locale mentre i
raggi del sole nascente illuminavano la via.
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