di Valeria Giovannini
Era un giorno d'estate, una torrida estate. Per
l'ennesima volta avevi devastato il mio silenzio. Volevi spiare i miei
pensieri. Volevi abitare la mia anima. La tua violenza mi aveva offesa. E io ho
sentito una stretta alla gola. Mi mancava l'aria. Mi sentivo prigioniera, non
potevo fuggire. Ho dovuto chiederti scusa. Per il mio silenzio. Per il mio
rifugio. Fare buon viso a cattivo gioco. Ti ho odiato. Ho odiato me stessa. Per
averti chiesto scusa. Per non essere fuggita. Avevo paura.
Era un giorno d'estate, una torrida estate. Tu mi
gettavi addosso la tua rabbia. Ero ingombrante. Credevo di essere trasparente.
Ma la mia presenza ti infastidiva. Ero scomoda. E silenziosa. Avresti dovuto
scusarti. Invece tu mi hai perdonata. E ho disprezzato me stessa.
Il confine tra il carnefice e la sua vittima è molto
labile. Io ero il carnefice. E la vittima.
Era un giorno d'estate, una torrida estate. Parole
violente. Mani violente. Sono fuggita. E ti ho perdonato. Ma poi tutto è
cambiato. Le tue scuse avevano il prezzo del mio silenzio. Troppo alto. Provavo
pena. Ti avevo tolto la maschera. Ma non ti volevo fare del male. Me ne sono
andata. E allora, la miglior difesa è l'attacco. Potevo scegliere di stare
distante. E lo sono stata, distante. A lungo. Poi di nuovo vittima. Delle tue
parole ciniche. Del tuo disprezzo. Delle tue manipolazioni. Di nuovo ho scelto
il silenzio. Il non esserci. E su un tavolo di acciaio, ho visto il tuo corpo
nudo e inerme. Pesante e freddo. Era un giorno d'estate, una torrida estate.
Nessun commento:
Posta un commento