Va, pensiero, sull'ali dorate;
Va, ti posa sui clivi, sui
colli,
Ove olezzano tepide e molli
L'aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
Di Sïonne le torri atterrate...
Oh mia patria sì bella e
perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d'or dei fatidici vati,
Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
Traggi un suono di crudo
lamento,
O t'ispiri il Signore un
concento
Che ne infonda al patire virtù!
(ap) Va pensiero, uno
dei più noti cori della storia dell’opera, inserito nella parte quarta del Nabucco di Giuseppe Verdi, è cantato dagli
ebrei, prigionieri di Babilonia, per rivendicare la loro libertà di fronte
all’oppressore.
I suoni iniziali sono sommessi e misteriosi, pieni di
commosso spirito elegiaco, poi subentra la violenza degli archi, ed
infine le ultime battute ritornano alle melodie dolci del flauto e del
clarinetto, che evocano con nostalgia i luoghi tanto cari. “Una grande aria, cantata da
soprani, contralti, tenori”, come la
definì Gioacchino Rossini.
Il coro segnò l’incontro tra il genio del maestro e le
speranze di indipendenza e di libertà dell’Italia risorgimentale. Così l’aria
venne interpretata e vissuta nell’800 come la metafora della rivendicazione del
popolo italiano di fronte all’occupazione austriaca, per la libertà della loro
terra, quella “patria sì bella
e perduta”. Le vie di Milano,
al funerale di Giuseppe Verdi, risuonarono della sua musica: Va pensiero venne intonato per le strade della
città in cori spontanei.
Anche dopo la seconda guerra mondiale, questo coro è
rimasto associato ad eventi umani e sociali laceranti: istriani, fiumani e
dalmati raccontarono, con questo stesso inno, lo smarrimento sentito per la
perdita dei loro territori e l’esodo drammatico dalle terre lasciate, da cui
sorgeva “un suono di crudo lamento”.
Oggi, quel coro ha acquisito un significato universale,
oltre le vicende storiche alle quali è legato, per raccontare quanto conti, per
tutti coloro che si sentono affaticati, quel “pensiero
sull’ali dorate” rispetto ai
vincoli materiali e morali di ogni tipo, quanto serva non dimenticare “il tempo che fu”, proprio per
riaccendere “le memorie nel
petto” e ascoltare finalmente
non solo “le aure dolci del
suol natal” ma quelle di ogni
momento della vita.
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