Ricordando Enzo
Tortora: le fragili sorti delle libertà civili
di Marina Zinzani
(Intervento di Angelo Perrone)
L’appuntamento
con Portobello rendeva le sere piacevoli, era un momento in cui si sorrideva,
quelle cose senza grandi pretese ma che pur nella semplicità diventavano
appuntamento familiare.
Non
è semplice parlare di Enzo Tortora, che ancora oggi torna nella mente, presenza
non dimenticata. Come le parole possono nuocere, come le calunnie possono
distruggere, come presunte verità possono diventare verità: il ricordo delle
manette di Tortora è qualcosa che disturba, intristisce, sgomenta.
Ci
sono tante forme di manette, non solo quelle che si mettono ai polsi: ci sono
manette invisibili che non si possono più togliere, chiuse con dei lucchetti
dati dalle insinuazioni e dalla stupidità, lucchetti questi difficili da
aprire.
Diventare
quello che gli altri credono: una realtà questa che può frastagliarsi in tante
situazioni, come in un gioco di specchi. Tante facce, quello che immaginano,
pensano che sia, tante facce si può diventare, e nessuna vera.
Ma
a nessuno importa, molto spesso. Enzo Tortora ricorda anche queste cose,
soprattutto l’impossibilità di difendersi anche se si urla la propria innocenza
e la propria identità. Solo di fronte allo specchio si sa di noi, ma spesso non
basta.
(ap) Il suo nome non evoca oggi le
pur numerose trasmissioni televisive, come la Domenica sportiva o Portobello,
che hanno intrattenuto gli spettatori con un garbo ed una minuta intelligenza,
così rari nella programmazione odierna su tutte le reti, ma ricorda un fatto di
malagiustizia. Appunto il «caso Tortora».
Un episodio clamoroso: Enzo Tortora,
accusato di gravissimi reati (dallo spaccio di droga all’associazione
camorristica), fu arrestato e detenuto per 7 mesi, prima di essere
completamente assolto per l’infondatezza delle accuse basate su dichiarazioni
di appartenenti alla criminalità organizzata, calunniose e prive del tutto di
riscontri oggettivi.
Un corto circuito incendiario tra amministrazione
della giustizia, mezzi di comunicazione, opinione pubblica.
L’inchiesta giudiziaria,
mastodontica e gonfia di faldoni di carta, si rivelò dai piedi di argilla. Si
muoveva nelle acque, di per sé infide e limacciose, degli ambienti criminosi
organizzati, cui appartenevano tanto gli
imputati quanto i soggetti cosiddetti “pentiti”. Si svolse senza l’indispensabile rigore
investigativo, prescindendo da criteri di prudenza ed accortezza nella
valutazione delle prove. Un tempo buio e angusto invase le aule di giustizia. Lasciava
un uomo, solo contro un meccanismo micidiale.
Le immagini di Enzo Tortora in
manette quella mattina 17 giugno del 1983 furono, senza pietà, continuamente
riproposte sugli schermi, davvero una gogna mediatica. Difficile considerarlo
una vittima, o dubitare della sua già scontata colpevolezza, rimaneva comunque
un privilegiato appartenente al mondo luccicante della buona società, e ora
(finalmente?) cadeva in disgrazia. Emergeva infatti un certo compiacimento per
la distruzione del mito, e con esso della moralità di un soggetto che poteva
apparire, non a torto, persino altezzoso e distante dalla massa nel suo stile
così formale e distinto: ora infine si mostrava nella sua svelata meschinità e
pochezza umana, così simili alla condizione di tanti.
Non era infatti “un intoccabile”
come fu indicato da alcuni. D’altra parte, quella persona “non era mai
piaciuta”, fu osservato da altri. Anche davanti ai giudici non evitò, nella
difesa appassionata e strenua della sua innocenza, toni altezzosi che
mostravano una assenza di fiducia nella giustizia. Era la stessa giustizia
peraltro che non si accontentò delle prime apparenze e poi seppe ricostruire le
fasi dell’indagine, scoprendone, come era doveroso, la insidiosa tortuosità,
l’esito ingiusto e falso.
Il difetto di prudenza e di umanità
portò anche ad una divaricazione dell’opinione pubblica, tra innocentisti e
colpevolisti, che si muoveva non tanto sulla conoscenza degli elementi
processuali, ma sull’emotività delle reazioni nei confronti di quel personaggio
televisivo. Simpatico od antipatico, come del resto le sue trasmissioni. Gli
schieramenti avevano il tono di una scommessa sull’esito di una partita di
calcio o di una corsa di cavalli, non sul destino di un uomo.
Per le implicazioni tra lo
svolgimento anomalo di un’indagine, i resoconti informativi sui media, e le
distorsioni nei commenti e nelle prese di posizione dell’opinione pubblica, il
«caso» ebbe effetti devastanti sulla stessa coscienza civile.
Dalla sua autobiografia successiva,
sappiamo che Enzo Tortora, durante la detenzione, sognava spesso nella notte di
diventare “ladro di appartamenti” insieme ai suoi compagni di cella. Il sogno creava terribili allucinazioni
piuttosto che essere fonte di rassicurazione e fantasia.
Non serve la retorica in certi casi.
Fa tremare l’idea che sia così forte e radicata la paura di quanto ci possa accadere
nella realtà. Sino a farci immaginare di essere in una gabbia di cui si è persa
per sempre la chiave.
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