La magia di ingredienti ben mescolati e sapientemente elaborati:
soprattutto il ricordo di una stagione della vita, che non c’è più
di Marina Zinzani
Mia
moglie questa sera fa le polpette. Con il sugo. Con i piselli. Una delizia,
penserà qualcuno. Cosa c’è di meglio di questo piatto, dai sapori equilibrati
che richiama anche una bella fetta di pane, meglio se toscano, per raccogliere
il sugo e mangiarselo con un piacere intenso? Il rosso del pomodoro, il verde
dei piselli e le polpette, ah, che delizia!
Ci
sono diverse ricette per le polpette, io conosco quella che prevede la carne di
manzo macinata, unita a del parmigiano e a del pane bagnato nel latte, e poi un
uovo, prezzemolo, sale e pepe. Le polpette devono essere cotte qualche minuto
in padella con un filo, piccolissimo, di olio, e poi si unisce del sugo di
pomodoro, fatto con la cipolla, e dei piselli. Cuocere a fuoco basso per
quindici minuti.
Il
procedimento più o meno è questo. Non è una ricetta lunga, quindi, neanche
laboriosa. Il problema è che mia moglie non sa farle. O meglio, poverina, fa
quello che può. C’è sempre un motivo per cui il piatto non riesce bene: ha
messo troppo sale, o ne ha messo troppo poco, ha dimenticato il prezzemolo, il
parmigiano non si sentiva, e infatti non l’aveva messo. E poi, anche quella
volta che riesce ed equilibrare gli ingredienti, non sono molto saporite. Certo,
dipende anche dal sugo di pomodoro, e anche lì si rileva qualche mancanza. C’è
sempre un problema di marca di pomodori, di passata, o di pomodori a pezzi,
sembrano questi i motivi per cui il sugo non fa impazzire.
Ma
non gliene voglio. Lei fa del suo meglio. Una volta ho provato a dirle che
quelle di mia madre erano polpette eccezionali. Dovrei dire mitiche, ma sembra
una parola eccessiva. Si sentiva l’odore da fuori, e il sugo, e il sapore delle
polpette erano una cosa da far suonare i campanelli. Mi ricordo che da piccolo
assistevo al rito delle polpette: cosa che per lei era consuetudine, ma la
vedevo mescolare tutti gli ingredienti con le mani, e poi faceva queste
palline. Già belle a vedersi, perfette, uguali. Quelle di mia moglie non sono
neanche regolari. Alcune grandi, alcune piccole.
Mia
madre è mancata qualche anno fa, e i ricordi di bambino sono un sacco sulla
schiena, quei sacchi di juta di tanto tempo fa, in cui si portava la legna, e i
pezzi di legno che abbiamo dentro il sacco servono per il fuoco e a scaldarci
tante volte, ma sono anche pesanti da portare, se ora c’è il silenzio in quella
casa, non c’è più lei ma una coppia di extracomunitari e lei è svanita, lei e
le sue polpette magiche, che mettevano di buonumore la sera, la domenica, ogni
giorno, ogni volta che le faceva. Mi manca, mia madre.
Ci
siamo. Sono arrivate in tavola, le polpette. Provo ad assaggiarne una, mia
moglie mi guarda e mi chiede ansiosa: “Allora, come sono?”
“Buone,
buone”, le dico. Sono sempre più sicuro che quello di mia madre, con le sue
ricette antiche, è un mondo svanito.
Le
polpette sono insipide. Non sono granché. Ma mangio, e lei mi guarda
soddisfatta.
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