di
Laura Bonfigli
(Commentando
Jean
Baudrillard, graffiti in cerca di senso di
Paolo Brondi, PL, 7/10/15)
Non
è un caso che, in un mondo omologato come quello in cui viviamo, volti e corpi
sempre più scolpiti e levigati dalla chirurgia estetica tendano a voler
eliminare le rughe, ovvero i graffiti dell'anima che, come incisioni rupestri,
scavando la pelle, tracciano reticolati, creano arabeschi disegnano emozioni, raccontano la vita ed il
mistero della sua metamorfosi.
Del resto la stessa Dafne ovidiana, che in un
processo di metamorfosi si trasforma in alloro, ci dimostra come anche il corpo
umano si trasformi nel tempo e a causa del tempo: le gambe si fanno nodose come
tronchi di alberi, le vene diventano simili a rami intrecciati, i tagli inferti
con l'accetta assomigliano alle piaghe doloranti del corpo che, come una
immensa tavolozza, riflette la trama delle continue disavventure dell’anima.
Paradossalmente,
la schizofrenia della società in cui viviamo se, da un lato, spinge a
cancellare la vita attraverso l'utilizzo della chirurgia estetica, dall'altro,
con l'uso sempre più frequente dei tatuaggi, rivendica in modo esplosivo, più o
meno consapevolmente, proprio una insopprimibile esigenza di autenticità,
possibile solo attraverso un lento processo di metamorfosi. I segni del corpo,
che con una definizione linguistica potremmo definire dei puri
"significanti", assemblati di volta in volta in un gioco combinatorio
simile a quello dei writers, in fondo sono i soli in grado di cogliere e racchiudere
in sé il "significato" più profondo di quell'eterno, magico e
misterioso murales che è la vita.
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