Racconto di Serena Biagini
(ap) Storie d’amore e di tradimento raccontate al maschile. La rottura
improvvisa della relazione per iniziativa della donna apre nel cuore del
partner una voragine di interrogativi devastanti e spesso senza risposta
immediata. Dove ho sbagliato? Cosa non ho compreso? Quali segnali ho
trascurato?
La prima reazione, la più istintiva, e forse la più logica, è un lungo viaggio a ritroso nella relazione, non tanto per trovare giustificazioni capaci di portare ad una autoassoluzione da ogni colpa, quanto per capire davvero. Un viaggio doloroso nella memoria, tra il passato che scorreva troppo in fretta e il nuovo che giungeva di colpo, inaspettato, facendo crollare una costruzione che sembrava solida.
La prima reazione, la più istintiva, e forse la più logica, è un lungo viaggio a ritroso nella relazione, non tanto per trovare giustificazioni capaci di portare ad una autoassoluzione da ogni colpa, quanto per capire davvero. Un viaggio doloroso nella memoria, tra il passato che scorreva troppo in fretta e il nuovo che giungeva di colpo, inaspettato, facendo crollare una costruzione che sembrava solida.
Ma, non è che un tratto del percorso necessario; il più difficile è
quello che proietta il maschile in un futuro non immaginato e del tutto
sconosciuto, da affrontare in modo diverso. Da uomo di città, impegnato in una
carriera dagli sbocchi esaltanti, il primo passo è forse proprio quello di
cercare di raccogliersi, trovare un rifugio diverso, nella mente e nel corpo,
definito dai boschi, dal legno della casa, dal profumo dei prati; un ambiente
del tutto nuovo a contatto solo con se stessi, per uscire dall’abisso.
Il forte vento sferzava le cime degli alberi che
oscillavano fin quasi a lambire il terriccio umido, intriso di salmastro, per
la vicinanza del mare che, inquieto, sbatteva impetuoso le sue onde contro la
scogliera, laggiù, in basso, al limite del bosco.
Osservavo pensieroso dai vetri, un po’ appannati,
del cottage in cima alla collina che avevo affittato per sei mesi, lo
scatenarsi delle forze della natura e mi chiedevo se ce l’avrei fatta a vivere
da solo in quel luogo dimenticato da Dio, specialmente nel periodo invernale in
cui eravamo, dove, però, avevo scelto di rintanarmi dopo la chiusura disastrosa
del mio matrimonio con Tiziana.
Ero un uomo di 39 anni che aveva sempre vissuto,
fino a quel momento, in città e non sapeva niente di boschi, barche, pescatori,
che fino a venti giorni prima si occupava di marketing presso una
multinazionale e si recava quotidianamente al lavoro in giacca e cravatta, con
segretaria a seguito.
Avevo preso quella decisione d’istinto, forse in
modo un po’ avventato, ma il dolore lancinante che attraversava il mio cuore,
come una lama sottile, per il tradimento di mia moglie e soprattutto per le
dure parole con cui lei mi aveva comunicato di non amarmi più, mi avevano
spinto, costretto, direi, a prendere una pausa di riflessione per affrontare le
mie emozioni e capire perché nella vita, avessi perso tutto ciò che avevo amato
di più, perché questo stava accadendo proprio a me!
Dove avevo sbagliato?
Tutto quel tempo perso ad occuparmi degli altri,
quelle fughe da Milano, Torino, Londra, con l’aereo, il treno, presi la notte,
per esserci la mattina seguente e trascorrere alcune ore con lei, prima di
ripartire per un nuovo viaggio di lavoro; Si, è vero, lei si lamentava
nell’ultimo anno: ”non ti vedo abbastanza, vorrei un figlio, mi mancano i
nostri momenti di intimità.. ”Sospirando le ripetevo: ”ci vuole pazienza, il
mio lavoro è così o sei all’altezza della situazione o ti sostituiscono, quando
avrò raggiunto la promozione me ne andrò dall’ufficio alle 17, non per giocare
a tennis, come fa il mio capo, ma per stare con te.. amore mio.. ti ricordi le
nostre gite in bici per Firenze? Lei ribatteva: ”si, ricordo, ma sono così
lontane, non voglio restare sola anche questo week-end”.
Che cosa potevo fare, licenziarmi ?
Tiziana lavorava par-time per una galleria d’Arte,
bel lavoro certo, ma chi pagava il mutuo della nostra bella casa sulla colline
di Fiesole? Io..
Correvo, correvo ed ero sempre pervaso da un senso
di insoddisfazione e di subdolo senso di colpa.
Le responsabilità mi appartenevano, anch’io avrei
voluto vivere di leggerezza.. Chi si sarebbe, però, preso cura di noi?
La stretta mano del rimorso lacerava la mia carne,
sentivo vuoto dentro di me.
Adesso era tutto finito, il tempo senza più orari
doveva trovare il suo significato.
Un raggio di sole, intrufolatosi, tra le nubi
grigie, si riflette sul vetro e abbaglia i miei occhi, mi risveglio dal
doloroso torpore, la luce entra gradualmente ad illuminare la stanza, il forte
temporale sta passando oltre.
Il vento si è un po’ calmato, afferro la cerata,
infilo gli stivali, mi copro la testa con il cappuccio ed esco... scendo, con
passo svelto, per il sentiero che porta alla scogliera.
Ho bisogno di respirare a pieni polmoni, mi fermo
al limite della risacca del mare, un gabbiano, stridendo, vola basso sopra la
mia testa, guardo il sole che sta calando dietro la linea scura dell’orizzonte.
Dovrò imparare, penso, a vivere per me stesso, ad
apprezzare le piccole esperienze della vita, afferro un sasso e lo lancio tra
la schiuma delle onde, così come facevo da ragazzo con mio fratello, si è
inabissato troppo presto, ne prendo un altro e ci metto più energia, questa
volta fa i salti e va lontano, per un momento fissando l’acqua che si solleva
come allora, ricordo, ricordo come ero, quando sapevo sorridere alla vita e
allora ne cerco con attenzione un altro e poi un altro ancora.. con impeto,
come fossero frammenti d’oro che avessero il potere magico di far brillare
ancora una volta la mia anima.
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