di Marina Zinzani
(Ascoltando Mia Martini, commento di Angelo Perrone)
(ap) Sola, con in testa le cuffie
del walkman, così veniva trovata sul letto di casa Mimì, quella mattina di
maggio, oltre vent’anni fa. Una voce dolce e scura, emozionante e sincera, che
l’Italia non ha mai smesso di amare. Nessuno l’ha dimenticata. Ascoltarla era
farsi lambire da un sogno, un lume intenso proveniva da distanze infinite, non
ci si sentiva più profughi di sé. Il disegno dell’orizzonte si ravvicinava
improvviso, la tristezza svaniva mentre ciascuno pensava alle sue cose.
In quelle melodie, si concentrava
un salto oltre le vie di mezzo, la sciatteria, i compromessi. Il volto e
l’immagine, così, hanno oltrepassato le dicerie e le maldicenze, perché erano
di metallo, pregiato come un diamante. Non c’era colpa nell’essere innocenti. Più
che un ritorno sulle scene contro lo spietato business musicale, "Almeno tu
nell’universo" è come l’approdo ad una riva sicura; la vibrazione, nascosta per
troppo tempo, di uno spirito lieto e sorridente, la capriola e il guizzo per
consolare chi ha cercato, pellegrino, l’amore per il mondo; un sospiro infinito
da raccogliere, non più estranei a se stessi, socchiudendo gli occhi.
Sono 21 anni che Mia Martini non c’è
più. Avevo visto un suo concerto, qualche anno prima che morisse. Aveva
un’energia particolare, una luce, fu una serata piena di emozione. Era lì, sul
palco, ed era tornata sulle scene e al successo dopo un lunghissimo periodo di
esilio, in cui un’accusa, quella di portare jella, l’aveva riposta in un
angolo, dimenticata, vittima che non poteva difendersi da tanta stupidità.
Quando è morta, tutti a dire quanto era
brava, che talento straordinario che aveva, e che ingiustizia poverina aveva
subito, accuse assurde di cui è stata vittima. Riparazione tardiva a un danno
che l’aveva segnata profondamente. Le parole: le parole segnano, possono fare male.
Le parole rimangono nella testa per anni, nella vittima come ferita che non
riesce a rimarginarsi. E rimangono nella testa degli ottusi che credono, che
indicano, “quella è…”, “dicono che..”, connotazione definitiva di una persona,
al di là degli eventi, spesso senza averla conosciuta e sapere del suo mondo
interiore. Parole che diventano marchi indelebili.
Sola, una vita di relazioni, anche
familiari, difficili, era riuscita a riemergere grazie al suo talento fuori dal
comune, e quando interpretava certe canzoni l’intensità sembrava nascere da
cosa vissuta, da dolori provati. “Gli uomini non cambiano”, cantava. E si può
pensare a un titolo simile anche pensando alle parole degli uomini, che come
una lama si conficca in un corpo, e niente sarà più come prima.
La maldicenza: una definizione mentre
si parla ridendo di qualcuno, un fatto sussurrato, magari non vero ma che
diventa vero, e che da quel momento incide sulla vittima. La quale non riuscirà
più a togliersi la definizione che le hanno messo. Nessuno si curerà del suo
dolore segreto, del suo disagio, della prigione in cui una parola,
un’insinuazione, l’hanno rinchiusa. Ode a Mia Martini. Diamante purissimo,
sporcato dalle parole. Anche se lei alla fine ha vinto, se si può dire, perché
quel diamante continua a fare luce, e a commuoverci.
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