di
Paolo Brondi
(Destini
letterari al tramonto delle ideologie)
Il
nostro paese è teatro di tante storie su cui frequentemente aleggia l’ombra che,
in questi ultimi anni e oggi ancor più, si è pure confusa con il corpo del
vivere sociale, culturale, politico. Ma forse è l’ombra, più che il sole, a far
meglio risaltare il nascosto. Quando il sole che abbaglia invade le cose e le
persone anche le nasconde sotto il suo chiarore. Migliore l’ombra dunque che
aguzza la vista e fa percepire anche l’opposto al vero. Vere e solari erano,
infatti, le parole di Italo Calvino, tese a difendere i valori della
letteratura, insegnati a mo’ di categorie perenni, nelle sue Lezioni americane (1988) con il nome di “leggerezza,
rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza”.
Ma
che seguito avrebbero potuto avere quei valori se già allora il destino della
letteratura era segnato dall’ombra lunga provocata dal tramonto della
dialettica fra ideologia e letteratura, causata da eventi come la morte di 38
operai a Poznan, negli scontri con la polizia nel giugno del 56: il Pci si
schiera a favore del governo polacco e scomunica Il Nuovo Corriere, di Firenze, diretto da Romano Bilenchi, reo di
aver scritto che i morti di Poznan erano caduti sulla via verso una società più
giusta e più libera, e ciò decise la fine delle belle illusioni e di quella
dialettica. Oppure la bocciatura del Metello
(1955) di Pratolini, ad opera di tre professori marxisti, Carlo Muscetta,
Franco Fortini, e Cesare Cases, perché poco in coerenza con i realisti russi.
Pure riviste come il Verri, e le pagine dell’Antologia I Novissimi (1961) contribuirono a liquidare come decadenti gli scrittori
della vecchia guardia, Pavese compreso. Lunga questa via delle ombre vincenti fu
facile il trionfo dell’immagine e la progressiva rarefazione della parola e il tramonto
dell’intellettuale, vinto, a partire dalla fine secolo e per gran parte fino ai
giorni nostri, dalla cultura del lussureggiante intrattenimento.
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