di Valeria Giovannini
(Le ultime giornate di Paolo Borsellino, una calda estate di 24 anni fa)
Nelle scorse settimane si è
ricordata la strage di via d'Amelio. A Palermo, il 19 luglio di ventiquattro
anni fa. Affidata, attraverso i social, anche alle memorie dei familiari. Paolo
Borsellino era perfettamente consapevole che fosse arrivato il tritolo,
stavolta per lui. Forse, fino alla strage di Capaci avvenuta 57 giorni prima,
pur scherzandoci su con l'amico Giovanni Falcone, non ne aveva maturato
l'assoluta certezza. Invece, da quel 23 maggio 1992, è morto anche lui. E ne è
divenuto ogni giorno più consapevole. Fino al 19 luglio.
Quella domenica trascorsa in parte al mare, con la famiglia. La ventiquattrore con il costume ancora umido e l'agenda rossa. Il costume è rimasto. E l'agenda, invece, inghiottita dal silenzio. Anelito di libertà vs. sentenza definitiva. E lo sapeva perfettamente.
Quella domenica trascorsa in parte al mare, con la famiglia. La ventiquattrore con il costume ancora umido e l'agenda rossa. Il costume è rimasto. E l'agenda, invece, inghiottita dal silenzio. Anelito di libertà vs. sentenza definitiva. E lo sapeva perfettamente.
Il giudice, nella penombra di una
stanza nella casa al mare, sdraiato a riposare e a riempire il posacenere di
mozziconi. E quel bagno in mare, per l'ultima volta. Quali pensieri lo avranno
attraversato. L'acqua, l'elemento naturale per un isolano. Nuotare al largo, da
solo. Lì puoi essere te stesso. Una goccia d'acqua nell'universo. Libero.
Nuotare al largo, l'ultimo desiderio. E lo vivi fino in fondo. Il figlio
Manfredi ha scritto che dopo la morte di Falcone, il giudice Borsellino è
divenuto sempre più distante con i familiari. Come a dire che se la sarebbero
dovuta cavare da soli di lì a poco. Ogni condannato a morte, sia per malattia o
per un ideale, ha uno sguardo speciale, di tolstojana memoria. Uno sguardo sul mondo
altro. E lo si comprende leggendo le pagine straordinarie di Guerra e pace.
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