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Domenica sera

di Marina Zinzani
(Essere padri nella separazione. Commento di Angelo Perrone)

(ap) Padri separati che riportano i loro figli alla madre alla fine del tempo loro concesso. È storia quotidiana, non fa notizia. La lontananza tra padre e figlio è dolorosa per entrambi e crea un vuoto che richiede di essere colmato. Con la mancanza di frequentazione quotidiana si aprono nuove ferite nell’uomo oltre quelle percepite con la separazione dal coniuge e nutrite di sensi di colpa e malesseri sottili. Ma anche per i figli, il padre assente è un fantasma inquietante che preannuncia, nella crescita, un futuro difficile se non tragico. Per questo l’idea, resa possibile ed imminente dalla biotecnologia, di una “nascita senza padre” lascia intravedere un’ombra grande sul destino di quei figli. Si è padri, fino in fondo, e per sempre.

E’ tardi, devo riportare la mia piccola a casa, la sua giornata con papà è terminata. Spengo la luce, dobbiamo andare ora, le dico sulla porta, è tardi. Lei vorrebbe restare, ha gli occhi tristi, e mille domande che sono lecite.
Devo essere forte, fare il papà che la riporta a casa, e che le prospetta dei giorni avventurosi, pieni di cose da fare, io e lei. Ma i suoi occhi restano tristi. Voleva restare a dormire da me, ma non si può, ci sono regole. E gli umori di sua madre.
Immagine che resta fra queste stanze vuote, l’eco di una risata, le sue mani nere mal lavate che hanno lasciato la traccia in un asciugamano, il golfino che ha dimenticato. Lo raccolgo, lo accarezzo.
Malinconia di tanti giorni, malinconia di una sera, della domenica sera, mentre riempio la lavastoviglie, sistemo la cucina, nel silenzio della casa.

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