La crisi dei matrimoni apre spesso uno scenario di problemi drammatici: mantenimento, precarietà economiche, i figli. Come affrontare il problema della ripartenza per una nuova vita?
(ap) Le disgrazie non hanno colore.
Sono come il vento che soffia dove vuole. Eravamo abituati, purtroppo, alle
notizie di mogli e madri rimaste senza sostentamento, per se stesse e per i
figli, dopo il fallimento del matrimonio. E impegnate nella ricerca faticosa di
un lavoro impossibile da trovare ad una certa età.
Certo mantengono le case dove hanno
sempre vissuto (60% di casi), ma sono prive di redditi propri, non c’è stato né
il modo né il tempo di procurarseli dovendo stare dietro alla famiglia, così
dopo la crisi coniugale dipendono in tutto dagli alimenti del marito. O
dall’aiuto delle famiglie di origine. I padri e mariti spesso latitano,
mascherando magari in molti casi le loro possibilità economiche pur di non
versare quanto dovuto alle loro ex.
Ora fa notizia il caso di Marco
Della Noce, un passato come comico di successo, il personaggio riuscito di un
“meccanico Ferrari” nella trasmissione tv Zelig, costretto a vivere in una
macchina, perché non ha potuto più pagare quanto stabilito per il mantenimento
di moglie e figli. «Mi hanno pignorato tutto», ha confessato sconsolato. Nella
disgrazia è caduto ora un uomo: il successo si è appannato, le serate ridotte,
diminuiti i guadagni, mentre sempre elevate, troppo, sono le cifre da versare.
La vicenda non può far dimenticare
il fatto che, nel 94% delle separazioni, l’obbligo del versamento è stabilito a
favore della donna, soggetto “debole” della coppia e che, rispetto a questo
dovere, molto alta è la percentuale di mancati o insufficienti versamenti da
parte appunto del marito. E’ la donna più che l’uomo la potenziale vittima
nelle crisi che investono il matrimonio.
In ogni caso, a soffrirne sono
comunque i figli, penalizzati dal fatto di rimanere presso le madri senza
risorse (l’affido condiviso nei confronti di entrambi i coniugi, per quanto
frequente nell’89% dei casi, non modifica la situazione).
Oltre al comico di Zelig, le
disgrazie colpiscono tanti onesti signori Rossi e operose signore Bianchi, e i loro
figli, che non fanno alcuna notizia: i primi con il problema di far fronte ai
loro obblighi specie in tempi di crisi e le seconde con quello di stringere la
cinghia e far quadrare i conti.
Una differenza forse c’è però
stavolta e suggerisce un’altra riflessione, utile ad introdurre qualche
correttivo. La somma stabilita a carico del signor Zelig era molto alta, forse
sproporzionata non tanto rispetto alle esigenze dei figli, quanto a quelle
dell’ormai ex coniuge. Tra le altre, è importante la questione dell’entità
degli assegni di mantenimento e dei criteri da utilizzare per fissarli.
Non è lontana l’eco della pronuncia
della Cassazione, sul caso dell’ex ministro Gritti e della sua gentile
consorte, che ha imposto una rimodulazione del mantenimento, monumentale,
stabilito a carico del marito sul presupposto che non potesse essere
considerato, come parametro attuale, quello dello stile di vita della donna
durante il matrimonio. E prima ancora ha stupito l’assegno da Guinness che
l’ingorda Veronica Lario, ex signora Berlusconi, ha strappato al pur danaroso
marito.
Quando il legame finisce, si
ricomincia in due una nuova vita. Su questa lunghezza d’onda si muove anche una
proposta legislativa (Donatella Ferranti, Pd, presidente Commissione giustizia
alla Camera) diretta a modificare la legge: nel fissare l’assegno di
mantenimento non si dovrà fare rigido riferimento al tenore di vita precedente;
cadrà probabilmente un certo automatismo tra fine del matrimonio e mantenimento
economico.
Certo, nella costruzione di più
moderni parametri, non si potrà dimenticare il contributo, non retribuito, dato
dal coniuge (in genere proprio la donna) alla vita familiare, e dovranno essere
apprezzate le condizioni, svantaggiate in conseguenza dell’adempimento dei
doveri coniugali, nelle quali si troverà la donna, non più giovanissima, al
momento di cercare un lavoro.
La conservazione di privilegi del
passato è una prerogativa ormai inaccettabile. Un retaggio superato. Non solo
perché non tiene conto della possibile riduzione dei redditi dell’uomo nel
corso degli anni. Ma anche per rispetto della donna, e verso quelle esigenze di
emancipazione sociale e familiare che sono alla base di tante battaglie
femministe.
La donna è soggetto che dopo il
fallimento del matrimonio ha la responsabilità di ricostruire il proprio
cammino. Per farlo, il suo passato non dovrà avvantaggiarla assicurandole una
rendita di posizione oggi improponibile, però neppure potrà penalizzarla,
rimanendo danneggiata dal fatto di aver accudito marito e figli sacrificando le
proprie ambizioni personali e lavorative. Sarà necessario equilibrio e saggezza
per assicurare alla donna delle condizioni di (ri)partenza su basi di
eguaglianza.
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