Lo scandalo Harvey Weinstein è un abuso di potere: tra la vittima e il carnefice, il senso di colpa della donna
(Angelo Perrone) Ora,
arriva pure il pentimento di Jane Fonda. Anche lei sapeva ma ha taciuto: «avrei
voluto essere più coraggiosa, mi vergogno», ha provato a giustificarsi con
franchezza, spiegando di averlo fatto forse perché non la riguardava
direttamente. Certo, come ha osservato Meryl Streep prendendone le distanze,
non tutti a Hollywood erano a conoscenza di come Harvey Weinstein, il
potentissimo produttore cinematografico americano, abusasse del suo potere.
Ma è
impensabile il contrario, che nessuno o pochi ne fossero a conoscenza, se per
oltre trent’anni inviti attrici in stanze d’albergo, ti fai trovare nudo, e
chiedi coccole, massaggi ed altre attenzioni sessuali. Anzi proprio la
serialità e la disinvoltura di questi comportamenti (al momento, almeno 40 le
attrici che hanno denunciato di essere state molestate) fanno pensare che molti,
pur sapendo, abbiamo voltato la faccia dall’altra parte piuttosto che esporsi e
denunciare pubblicamente le malefatte. Una omertà diffusa e interessata.
Come
per esempio Brad Pritt, che, nonostante fosse stata molestata proprio la sua
fidanzata dell’epoca Gwyneth Paltrow, si è limitato solo ad intimare al
produttore di lasciarla in pace, senza rendere pubblica la faccenda. E, se non
ci fosse stata l’inchiesta esplosiva del New
York Times, oggi Weinstein, anziché essere licenziato dalla sua stessa
società, lasciato dalla moglie, e allontanato dal mondo cinematografico, tornerebbe
tranquillamente a sedersi alla sua solita scrivania.
Uno
scandalo che fa tremare la politica americana per i copiosi finanziamenti
elargiti dal magnate ad esponenti di ogni colore, e provoca un effetto domino,
moltiplicando il numero delle testimonianze di donne vittime di abusi.
Quello
di Weinstein non è un incidente isolato, e la molestia non regna solo a
Hollywood, ma in ogni paese e in tanti luoghi, negli esercizi commerciali,
negli uffici, nelle aziende dove chi riveste posizioni di potere si arroga a
volte il diritto di abusarne in vario modo, a cominciare proprio dalle
attenzioni sessuali verso le donne.
Sullo sfondo di queste azioni, la minaccia
di ritorsioni, mancate promozioni o guadagni, condizionamenti nella vita lavorativa:
una vita impossibile per l’attrice famosa come per la sconosciuta impiegata di
un ufficio alla periferia della città. Vicende, che spesso rimangono
sconosciute perché non denunciate, oppure ottengono un’eco modesta.
Non
sembra che vi sia nulla di nuovo e di sorprendente nelle notizie che vengono da
Hollywood, eppure sarebbe riduttivo pensare che si tratti solo di un ennesimo e
pur enorme scandalo di tipo sessuale con risvolti politici e finanziari.
Le
denunce, cresciute numericamente di giorno in giorno, sono una valanga. Casi,
episodi, fatti, che hanno inondato le pagine dei giornali. I media però hanno
raccolto soprattutto le testimonianze delle donne sull’aspetto più scabroso
delle varie situazioni; poco si sa su ciò che ha preceduto l’ingresso in quelle
stanze d’albergo, e su quanto accaduto dopo.
Così,
quadri sempre più ampi e fitti raccolgono, sui giornali, i volti delle vittime,
restringendone via via le dimensioni dato il numero crescente, sfumando l’identità
di ciascuna e rendendola indistinta. Storie che si confondono tra loro e si
sovrappongono l’una all’altra, apparentemente tanto simili: giovani e belle
ragazze, ben truccate, sorridenti e piacevoli, infastidite da un molestatore
arrogante e seriale. Simili se non uguali l’una all’altra. Rischiano di essere
indecifrabili.
Chi
sono in realtà? Come hanno vissuto quell’esperienza? Perché hanno atteso tanto
prima di denunciare quei fatti e di ribellarsi? Un gesto catartico e
liberatorio? Domande senza risposta. Ricostruiamo la scena: vestiti, gioielli,
auto di lusso, ambienti famosi. Loro giovanissime, sorridenti, in cerca di
successo: un incontro importante, una parte in un gran film, un contatto con il
famoso produttore che potrebbe cambiarne la vita; poi l’invito ad una festa,
che non ci sarà. E’ una trappola.
Un
mondo inebriante e luccicoso, quello di celluloide, nel quale si può trovare
anche l’orco. Dove la giovane ragazza, davanti alle richieste oscene, è
chiamata all’improvviso a recitare la parte della donna adulta. Quella di chi
sa reagire, ribellarsi alle richieste oscene, allontanare fisicamente il
molestatore.
Non sappiamo cosa accada in quel frangente così breve, è tutta una
questione di secondi, pochi per decidere. Troppo stretto è il margine tra ciò
che deve essere fatto e ciò che succede. Impossibile soprattutto formulare, a
freddo, dei giudizi; dire come sarebbe stato giusto comportarsi, cosa scegliere
tra la propria dignità e il miraggio di un beneficio nella carriera. Forse
persino ingiusto censurare le scelte magari discutibili della vittima quando è
così diffuso (e impunito?) il sistema di prevaricazione nei rapporti sociali.
Forse,
è impacciata, si sente debole e fragile, anche incapace di fuggire in lacrime
da quella scena alla quale non è preparata. In futuro avrebbe studiato a fondo
la parte che le fosse stata assegnata, si sarebbe impegnata per riuscire, ma al
ruolo che ora le viene richiesto non è preparata e non sa come fare. Una
disinvoltura di facciata quella mostrata prima in pubblico, che non corrisponde
alla sua giovinezza ed inesperienza.
Chissà
se pensa in quel momento al suo sogno, a ciò che vorrebbe ottenere dalla vita e
che è forse raggiunto. Raggiunto? Quasi, manca così poco, un piccolissimo
tratto di strada, che però ha un prezzo. Un po’ di scaltrezza e di furbizia le
permetterebbero di arrivare al traguardo ambito, oppure si tratta solo di
accettazione di un rischio inevitabile quando la strada è stretta e
accidentata.
Certo c’è differenza tra sesso e prostituzione, tra gentilezza e
disponibilità sessuale, tra rettitudine e baratto. Ma a volte si affronta anche
una zona d’ombra dove tutto è confuso e così precario, e provoca spavento,
impedisce di ragionare: dove trovare la forza per reagire? Quando abbiamo
imparato a farlo?
Poi
accadono molte cose, il successo arriva oppure no, passano gli anni, e qualche
volta la ragazza, ormai meno giovane, si guarda allo specchio sempre
ripetendosi quella domanda inquietante «perché non sono fuggita?», sentendosi
profondamente stupida e anche colpevole, come ha ammesso Asia Argento, una
delle vittime: «il fatto di non averlo respinto fisicamente mi ha fatto sentire
responsabile».
Ecco
ciò che appare allo specchio, l’immagine di una ragazza che teme di essersi
messa da sola in pericolo; il mondo è lì pronto a giudicare lei e le sue
scelte, piuttosto che condannare chiaramente ciò che è all’origine di tutto,
cioè la prevaricazione sulla libertà delle donne e dei più deboli. La ragazza
meno giovane si porta dentro nel tempo quel senso di colpa che non distingue
tra vittima e carnefice, che avvicina pericolosamente la prima al secondo,
azzerando nella confusione ogni responsabilità.
Difficile vivere così in bilico.
Complicato non sentirsi più spaventati, piccoli e confusi: a volte ci vogliono
anni prima di riuscirci. E lo facciamo proprio accettando di essere stati così
incerti, e magari di aver commesso degli errori, e raccontando come l’ombra,
che un giorno abbiamo attraversato, non ci faccia più paura.
* Leggi anche:
* Leggi anche:
Caso Weinstein: le
zone d’ombra dell’omertà e dei sensi di colpa, di Angelo Perrone,
La Voce di New
York:
http://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/2017/10/20/caso-weinstein-le-zone-dombra-dellomerta-e-dei-sensi-di-colpa/
...e la cosa peggiore credo sia esser messa sotto accusa proprio da altre donne che invece di far muro, giudicano e condannano. Io sto con Asia .
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