Una maestra, a colloquio con il maestro, una sera di
settembre
di Paolo Brondi
Ieri, 20 settembre 1979, ho incontrato Giuseppe Prezzolini. Che
emozione! Ci ha ricevuto nel suo studio, tutto aperto sullo splendore del monte
Bré. Mio marito cura gli interessi bancari di molte persone e anche di
Prezzolini. Lui se ne stava seduto in poltrona, con il timbro di voce sempre
vivo, modulato in toni ora più metallici, ora più fini, più pacati.
Ancora bello il suo viso, addolcito da un tenero sorriso e dagli occhi che, pur oltre lo spessore delle lenti, si posavano su di me con bagliori di intelligenza, di paterna ammirazione.
Ancora bello il suo viso, addolcito da un tenero sorriso e dagli occhi che, pur oltre lo spessore delle lenti, si posavano su di me con bagliori di intelligenza, di paterna ammirazione.
Aveva sentito parlare di me, della maestra del sentiero della fiaba e,
lasciando mio marito alle carte finanziarie da discutere con il suo segretario,
si è rivolto a me: “Lei, signora maestra, deve sapere che è depositaria di una
profonda verità. Vede, io sono stato e sono pessimista in tante cose, sui
poteri costituiti, sulla libido che ancora oggi è vincente, ma credo
fermamente nei buoni costumi che fanno bella e temperata la civiltà, nella
necessità della loro difesa, della loro continuità.”
E poi ha aggiunto: “Alla scuola, agli insegnanti, compete questo
straordinario compito, depositari ed educatori della buona civiltà, per
moltiplicarne il valore attraverso le energie dei giovani. Ma a lei, mia bella
signora, non devo insegnare niente, lei lo ha già messo in pratica quello che
io dico ed è molto più brava di me che mi limito a predicarlo”.
Ai saluti, mi ha abbracciata e il tocco della sue mani così grandi,
così tenere mi ha colmato di una intensa felicità, la mia vulnerabilità, la mia
fragilità si è sciolta in certezza di tempi migliori.
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