In Catalogna, come altrove, l’indipendentismo
minaccia oggi di portare a conseguenze opposte alle aspettative: crisi in
economia e nelle relazioni internazionali più che valorizzazione della propria
identità. Solo aprendo la propria storia al dialogo, è immaginabile il
progresso
di Angelo
Perrone *
Una fuga di imprese e di banche. Mancanza di denaro
liquido. Crisi delle attività economiche. Persino l’ipotesi di una paralisi non
sarebbe così peregrina. L’indipendenza potrebbe costare molto cara alla
Catalogna, nonostante sia un territorio ricco, con una attività produttiva
consistente e redditizia.
Non è una prospettiva determinata dalla politica
minacciosa delle autorità governative spagnole, anche se l’esodo delle aziende dalla
regione è favorita dalle autorità nazionali come manovra diretta a contrastare l’azione
degli indipendentisti.
E’ sulla base dei primi sintomi già presenti sul
mercato che la previsione sembra concreta. Ed ha un significato ben oltre i
meccanismi finanziari o economici. In discussione, la stessa ragion d’essere
delle politiche autonomiste, o meglio delle modalità con le quali esse vengono
perseguite oggi, sino alla rottura e alla separazione.
Una fase storica in cui,
più che mai rispetto al passato, i rapporti tra le nazioni sono connessi tra
loro, le dipendenze spesso reciproche, e i propositi di sviluppo delle economie
interne spesso legati proprio alle espansioni oltre confine, e alla necessità
di coordinamenti e intese.
Molte aziende stanno pensando di spostare la sede
legale altrove, proprio per la situazione politica e sociale che si va
delineando. La Caixa, prima banca della regione, ha deciso di trasferirsi a
Valencia. Il Banco de Sabadell, secondo istituto catalano, ad Alicante. Con la
stessa motivazione anche il gruppo Gas Natural Fenosa, colosso dell'energia,
vuole spostare la sede sociale da Barcellona a Madrid.
Paure immotivate? Solo timori infondati? Non proprio.
Sullo sfondo, c’è la questione molto seria dei rapporti tra la nuova Catalogna
e la zona Euro, e la possibilità di continuare a rimanere dentro il mercato
continentale e ad usarne la moneta dopo il distacco da Madrid.
Certo le
autorità indipendentiste si dicono europeiste, e desiderose di continuare a far
parte delle istituzioni continentali, anche se trascurano la complessità dei
possibili rapporti con la Spagna, che certo contrasterebbe – con l’appoggio
delle autorità europee – la presenza catalana nelle istituzioni europee.
Ma la questione del mantenimento dell’euro in
Catalogna non deriva soltanto dal verosimile contrasto politico che sorgerebbe
tra le due nazioni iberiche e dall’impossibilità da parte dell’Europa di
tollerare spinte autonomistiche al suo interno. Piuttosto passa attraverso il
meccanismo di finanziamento del sistema bancario di tutta la penisola iberica
da parte della banca centrale europea e la dipendenza della Catalogna proprio
da Madrid.
Ebbene il flusso di denaro (naturalmente euro)
presente nelle banche catalane, largamente finanziato dall’Europa, è garantito
proprio dall’elevato debito pubblico di Madrid verso l’Europa. Dopo il distacco, la Spagna non potrebbe
allora continuare a sostenere l’economia catalana: il giorno dopo
l’indipendenza, Barcellona potrebbe trovarsi dunque fuori dall’Euro, senza la
moneta continentale, anche per la corsa dei correntisti al ritiro dei loro
depositi, e costretta a stampare una nuova fragile moneta, e ad affrontare una
recessione gravissima.
Il paradosso con il quale l’indipendentismo catalano
ha mancato di fare i conti è dunque che la ricchezza della regione e la sua
autosufficienza, su cui poggiano l’orgoglio autonomistico, la voglia di fare da
soli, e la fiducia di potersela cavare senza gli spagnoli non solo derivano dal
contributo di tanti spagnoli che vi si sono trasferiti ed hanno permesso di
costruire benessere, ma sostanzialmente sono pagati e finanziati proprio
dall’odiata Spagna e dalla lontana Europa.
Sia Madrid che l’Europa sottovalutano l’importanza delle
politiche aggregatrici delle nazioni ma al tempo stesso rispettose delle
ragioni e delle caratteristiche dei singoli territori. Il continente ha mancato
di far sentire una voce alta e costruttiva per risolvere la crisi iberica. La
Spagna ha scelto la strada miope e suicida della contrapposizione, della
durezza verso le istituzioni catalane e gli stessi cittadini, del rifiuto del
dialogo, del muro contro le voci indipendentistiche.
La Catalogna – con l’estremismo di una dichiarazione
d’indipendenza dalla Spagna - rischia ottusamente di cacciarsi nel vicolo cieco
dell’isolamento politico ed economico, perché oggi i rapporti tra le nazioni
hanno raggiunto una complessità ed una articolazione, anche una
interdipendenza, sconosciuta in passato, secondo logiche globali la cui dinamica
sfugge completamente agli estremisti delle piccole nazioni, e ai protezionisti,
costruttori di nuovi muri e confini in varie parti dell’Europa, o al di là
dell’Atlantico, nell’America di Donald Trump.
Nessuno può pensare di rimanere isolato, di elevare
muri o confini e ritenere di poter risolvere così i problemi che incontra all’interno
di un paese e soprattutto all’esterno, nel rapporto con le altre nazioni.
I nuovi confini – come dimostra in maniera esemplare
la vicenda catalana – minacciano di indebolire i paesi, di renderli più esposti
alle crisi, in una parola di peggiorare le condizioni di vita interne non di
migliorarle.
L’identità di un territorio, la sua cultura, la sua lingua, in
generale la sua storia, sono una risorsa fondamentale, una forza che merita sempre
di essere valorizzata oltre che rispettata. Ma occorre chiedersi cosa fare di
quella storia, perché non sia densa solo di illusioni, di nostalgie fuori dal
tempo, di ricordi invecchiati.
Non serve resuscitare un passato che non può tornare,
e che magari non è mai esistito se non nell’immaginazione dei suoi cantori,
nella mente di chi agita vessilli e lancia parole d’ordine. Piuttosto occorre trovare
una via che esalti l’identità di ciascun paese e nello stesso tempo sia
inclusiva delle diversità che arricchiscono il tessuto sociale.
Un percorso
complicato, che per questo sta lacerando il tessuto europeo e logorando i suoi
ideali. E che, anche in Italia, scoraggia i più i quali suppongono di poterlo
evitare con l’indipendentismo e l’isolazionismo, inseguendo il miraggio di una
soluzione immediata dei problemi e del soddisfacimento repentino dei propri
interessi ed istanze.
Non esistono però comode scorciatoie né alternative
alla faticosa mediazione degli interessi, al dialogo tra diversi, al superamento
lento degli inciampi. Unire le forze per farsi sentire, agire su tutte le leve
per trovare una soluzione. Sono passi piccoli e difficili, faticosi e lenti, da
compiere con pazienza. Gli unici che possono creare il solco di un futuro
possibile e concreto. E’ la difficile arte della politica, per governare la
realtà.
* Leggi anche:
Senza
Spagna non si magna? La Catalogna separatista non fa i conti con l’euro di
Angelo Perrone,
La
Voce di New York:
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