Un “quasi incidente”
svela lo strano comportamento di un conducente d’auto, messosi alla guida con
la testa altrove
di Paolo Brondi
Il dr. Nicola Savio quasi
impazzì quando seppe da una vicina di casa che la donna che amava era partita e
ignorava dove si fosse recata. “A niente sono serviti tutti i miei sforzi- si
diceva con rabbia - mi sono compromesso per amore e non ho ottenuto altro che
schiaffi in faccia!” Seguirono giorni in cui a poco a poco precipitò nella
malinconia. Gli sembrava di vagolare in un mondo vuoto, privo di quella gioia
che viene anche dal niente, disperato di amare e di poter essere amato.
Si autoconvinceva di
essere condannato alla solitudine e, senza saperlo, riviveva l’infantile
nevrosi da distacco da una madre troppo spesso assente; quella lacerazione
affettiva di immane vastità. Nemmeno il lavoro destava più il suo interesse.
Chiuse per ferie il suo studio e partì senza una meta. Entrò in autostrada e si
diresse verso Roma. Guidava lento e non pochi furono gli improperi che gli
inviavano gli autisti delle vetture costrette a rallentare e attendere con
crescente nervosismo di sorpassarlo, ma non se ne curava.
Nella galleria
dell’Incisa, per inveterata abitudine, accese i fanali, ma non si accorse che,
pigiando i tasti, mise in funzione gli abbaglianti. A questo punto i clacson di
innumerevoli vetture riempirono ogni spazio della galleria facendo scattare
l’allarme ed il rapido intervento della polizia stradale. La gazzella della
polizia fermò l’auto del radiologo e i poliziotti, intuendo che il soggetto non
era del tutto normale, gli intimarono di seguirli fino al prossimo parcheggio
della Certosa e qui giunti presero ad interrogarlo.
Declinate le
generalità e mostrati i documenti di viaggio, i due poliziotti di turno non
ritennero di comminare immediata sanzione, ma contattata la sede operativa
centrale, lo invitarono formalmente a tornare a Firenze e a presentarsi
tempestivamente alla sede della polizia stradale, nell’ufficio dell’ispettrice
Teresa Boni. Il dott. Savio, fattosi più calmo, rispettò l’imposizione e,
guidato con prudenza, ma anche con la necessaria sollecitudine, si presentò
alla dott.ssa Teresa Boni.
La giovanissima dott.ssa Boni, al termine di una mattinata densa di attività, non aveva animo di ascoltare i travagli di un soggetto qualificato instabile, così come definito per telex, e con freddezza fece entrare e accomodare il dott. Savio e subito lo redarguì:
La giovanissima dott.ssa Boni, al termine di una mattinata densa di attività, non aveva animo di ascoltare i travagli di un soggetto qualificato instabile, così come definito per telex, e con freddezza fece entrare e accomodare il dott. Savio e subito lo redarguì:
“Lei si è reso
conto del pericolo e degli incidenti che possono provocare gli abbaglianti
accesi in una autostrada?”
Il dott. Savio, a
testa bassa, come un bambino preso in fallo, balbettò:
“Non l’ho fatto
apposta, avevo la testa altrove”. E l’ispettrice, stizzita pensando di avere di
fronte un vero irresponsabile, quasi gridò:
“E lei guidava con
la testa altrove …e che cosa aveva in testa!?”
“Un sogno…!”
“Un sogno! … Che
tipo di sogno!?”
“Un sogno svanito
come la nebbia all’alzata del sole.”
“Mi vuol dire,
dunque, che si è messo in macchina allo svanire del suo sogno?
“Proprio così …la
mia mente era vuota … il nulla era l’unica mia guida”
“Di bene in
meglio…dichiara dunque che non sapeva che fare e dove andare?”
“Non sapevo dove
andare perché ormai affidavo e affido la mia vita alla casualità…”.
“E in quella
galleria affidava al caso la sua vita e quella degli altri?”
“No…il caso è la
mia terapia, è apertura ad altro da me, è disponibilità a sperimentarmi su vie
diverse da quelle finora praticate.”
L’ispettrice a
questo punto si fece più attenta, scoprendosi impegnata in un dilemma: doveva
decidere se si trovasse di fronte ad un soggetto che sembrava agire in modo
quasi magico come se ci credesse, oppure a persona che sottesa all’emotività
mostrava una indubbia capacità di dar senso alle sue ipotesi e lo guardò con
occhi nuovi. Anche Nicola alzò il viso e la guardò. Gli occhi si incontrarono e
una strana corrente passò in quella stanza. Tornarono a guardarsi e come
straniti dallo stupore e si scambiarono un tenue e dolce sorriso.
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