L’uso del dialetto nella società italiana, tra istinto espressivo e creatività
linguistica
di Paolo Brondi
Cultura italiana e uso del dialetto. Si deve a Benedetto Croce
la distinzione fra dialetto spontaneo e dialetto riflesso: da una parte il
dialetto è usato senza coscienza, dall'altra è usato per fini particolari pur
avendo ben presente la lingua letteraria. Antonio Gramsci attribuisce al dialetto un
duplice limite, quello della emarginazione linguistica e quello della
emarginazione sociale, e si batte per l'unificazione linguistica e per l'insegnamento
della grammatica.
Il fascismo esaspera il giudizio sui dialetti,
predicando che i dialetti denunciano miserie e arretratezze, inconciliabili con
le vocazioni imperiali di cui il nazionalismo fascista si faceva bandiera.
Pavese, ne Il mestiere di poeta,
difende l'uso letterario del dialetto considerando "ogni specie di lingua
letteraria come un corpo cristallizzato e morto, in cui soltanto a colpi di
trasposizioni, d'innesti dall'uso parlato, tecnico e dialettale si può
nuovamente far correre il sangue e vivere la vita" (Lavorare stanca, Einaudi, 1943).
Nel '49, l'anno de La
luna e i falò, Pavese pone dialetti e lingua su due registri diversi:
"Il dialetto è sottostoria. Bisogna invece correre il rischio e scrivere
in lingua, cioè entrare nella storia, cioè elaborare e scegliere un gusto, uno
stile, una retorica, un pericolo. Nel dialetto non si sceglie, si è immediati,
si parla d'istinto. In lingua si crea".
Non sottostoria ma immediatamente rappresentativo di
una realtà sociale estremamente arretrata è il dialetto romanesco di Giuseppe
Gioacchino Belli. La plebe romana è l'essenziale protagonista dell'opera
belliana e il poeta ne rappresenta ogni piega servendosi della lingua che essa
stessa usa: "Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano
escono tuttodì, senza ornamento, senza alterazione veruna, senza pure
invenzioni di sintassi o troncamenti di licenza, eccetto quelli che il parlator
romanesco usi egli stesso; insomma cavar una regola dal caso e una grammatica
dall'uso, ecco il mio scopo" (I
Sonetti, Mondadori, 1952).
Diverso è il carattere del dialetto quando se ne fa un
uso nobile e ufficiale in contesti socioculturali come quello veneziano,
napoletano, siciliano, ove le voci dialettali vengono richiamate per raffinar
la lingua e a garanzia di indubbia espressività.
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