di Marina Zinzani
(“L’amour fou” – Françoise Hardy)
Lui non chiama. Io aspetto. Guardo il cellulare, sobbalzo ad ogni messaggio. Il cuore sale in gola, l’ansia è mia compagna ormai.
Era cominciata con i giardini in fiore, e l’acqua delle fontane che zampillava, come se sapesse, quell’acqua, che il mio cuore non era più solo, inebriato come con un bicchiere di champagne, non più cuore errante e triste.
E non ero più triste, ero diventata bella come se il bacio di un principe mi avesse ridato vita, gli specchi dei negozi mi riportavano la magia di una bacchetta magica. Io avevo, io ero. Io e l’amore.
E la prima vacanza insieme, la vita può essere meravigliosa, e quell’agriturismo con i fichi del contadino, e le marmellate della signora, e i cavalli, e la tenerezza di un risveglio con il canto del gallo. Passeggiate in mezzo ai boschi, c’erano gnomi e creature fatate da qualche parte.
Poi è arrivato l’autunno. L’autunno e le giornate di nebbia, di pioggia, gli impegni. Una telefonata in meno. È impegnato, comprensibile, fa un lavoro di responsabilità. Non puoi mica stare lì a controllare il numero delle telefonate.
Il suo sguardo sfuggente al ristorante, la mano che non tiene più la mia. Il cuore protesta, è inquieto, ma le parole non escono, bisogna tenerlo a bada il cuore, non c’è niente che non vada. Dopo mesi un rapporto si assesta, è normale, quante volte devo dirtelo, cuore che chiede, che implora, che tace.
Inverno, ed è più freddo. Tutto si dirada, gli alberi non hanno più le foglie, si diradano le ore di luce, si diradano le telefonate. Qualche impegno improvviso. Non può venire. C’è sempre una buona motivazione, basta crederci. Il cuore non vuole crederci e piano piano, come un bambino punito ingiustamente, si ritira in un angolo. Cosa succede? Urla, almeno una volta urla e chiediglielo.
Tu lo fai, e gli fai presente quello che senti, e non sai neanche se usi le parole giuste, se le cose possono peggiorare dalle tue parole che lo accusano. Lui sembra cadere dalle nuvole. Non ha capito il tuo stato d’animo, e dice che le cose non possono essere sempre come all’inizio, è naturale. Non devi essere assillante, devi essere calma, pacata, se non vuoi perderlo.
È lui che conduce il gioco, e tu sei una delle tante sue pedine. Pedine di una scacchiera che usa. Non l’hai capito? Non le hai sentite delle storie su di lui? Sai qualcosa del narcisismo e delle vittime dei narcisisti? Oh, puoi continuare a parlare, puoi provocarlo, o assecondarlo, ma sei nella sua rete ormai, non riesci più a scappare, ma anche a mangiare, a ridere, a lavorare, a leggere, a camminare. Il tuo volto è contratto, il tuo corpo è invecchiato. Manca l’amore, e lo implori l’amore.
Sei disposta a tutto: a capirlo. Cedi sui suoi cambi di umore, sulle sue scuse improvvise, sul tuo desiderarti all’improvviso, quei momenti in cui ti fa sentire ancora su una stella, in mezzo ai boschi, con i cavalli, e i fichi del contadino, e le marmellate della signora, e il tramonto mano nella mano, tutto è tornato, erano solo pensieri sbagliati di un cuore provato, già ferito altre volte.
Dopo, dopo lui non richiama. Sparisce per qualche giorno. Ha impegni, è seccato. Non insistere, non essere opprimente, te la ripeti questa frase, ti dai colpe, non devi essere opprimente, è sempre stato un tuo difetto buttarti nelle storie e pretendere tanto.
Il telefono non suona. Non suona e lui dovrebbe chiamare. Ha avuto un imprevisto. Non poteva chiamare. Lo farà.
Come una mendicante che si è perduta, imploro con la mano una moneta. D’oro. Ne riceverò al massimo una di latta. Passata di mano in mano.
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