di Marina Zinzani
Nel passato c’erano gli invasori, era necessario difendersi con l’uso delle armi, proteggere la propria terra, la propria casa. L’invasione è un tema ricorrente nella storia, ma è sempre attuale, bisogna comprendere le diverse sfumature di questa parola.
Il proprio mondo è continuamente invaso, in fondo. È invaso dalle persone che frequentiamo, a scuola, negli ambienti di lavoro, nei rapporti umani in generale.
È invaso facilmente perché l’altro può usare una parola in grado di farci sorridere, di darci coraggio, ma anche in grado di ferirci, può dare un giudizio sommario senza conoscerci a fondo, può avere un atteggiamento che ci fa sentire esclusi, umiliati, incompresi.
Quell’atteggiamento o quella parola possono diventare una tossina che si sviluppa nella mente, che si moltiplica, che si propaga anche a quelli che ci stanno vicini. È facile comprendere come l’invasione non conosca spazi e luoghi, e viaggi su canali particolari, favoriti dalla nostra sensibilità e fragilità.
Un uomo dovrebbe insegnare subito al figlio ad avere un’arma misteriosa, collocata nella sua mente, pensa Setsuko in riva al fiume. Quell’arma dovrebbe difenderlo durante la vita, perché gli attacchi verranno da ogni parte. Avere un’arma serve a non soffrire troppo, a non soccombere. Però quel genere di armi non si trasmette di padre in figlio, non è visibile, forse si acquista col tempo o forse no, attraverso strade misteriose.
Senza armi adeguate la porta rimane sempre socchiusa, facilmente può entrare qualcuno. Un mazzo di fiori alla porta servirà a far retrocedere l’invasore?
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