di Paolo
Brondi
I proverbi, definiti da
Benedetto Croce “monumenti parlati del buon senso”, nella nostra civiltà, che
alla parola scritta e alla tradizione orale ha sostituito l’impero delle
immagini, paiono reperti archeologici, come antiche rovine o vetusti codici
miniati.
Talvolta persistono come
giochi di parole, citazioni dotte, infioramento di un discorso. Del resto
proverbi metereologici, come “Rosso di sera, bel tempo si spera”, “cielo a
pecorelle, acqua a catinelle”, come possono competere con le attuali previsioni
meteorologiche, pur scientificamente agguerrite, anche se spesso queste sono
meno attendibili di quelli! Gli stessi proverbi di comportamento “Chi ha
tempo, non aspetti tempo”, “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo
zampino”,” le bugie hanno le gambe corte”, sono superati dai
cinguettii dei vari social networks o dai pur già obsoleti slogans dei
politici… che continuano a giungere dall’alto.
Eppure i proverbi sono grani di saggezza del passato, tramandati oralmente da intere comunità, da interi popoli e da una fede che non rinnega il passato in nome del futuro. La cultura di massa, soppiattando il popolo, come si legge nel recente “Scrittori e massa”, di Alberto Asor Rosa, cancella la civiltà delle parole ove il proverbio è una cosa che si dice, uno lo dice, l’altro lo ripete, fino a che, con Voltaire, “le peuple a souvent raison dans ses proverbes “ .
Eppure i proverbi sono grani di saggezza del passato, tramandati oralmente da intere comunità, da interi popoli e da una fede che non rinnega il passato in nome del futuro. La cultura di massa, soppiattando il popolo, come si legge nel recente “Scrittori e massa”, di Alberto Asor Rosa, cancella la civiltà delle parole ove il proverbio è una cosa che si dice, uno lo dice, l’altro lo ripete, fino a che, con Voltaire, “le peuple a souvent raison dans ses proverbes “ .
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