(foto repubblica.it) |
(ap) Sono le dita di Martin
Navarrete, giudicato colpevole di omicidio, condannato a morte, in attesa dell’esecuzione.
Si intravedono appena attraverso la pesante grata della cella, ed è l’unica parte
del corpo che si scorge di lui. Il nome emerge soltanto dalla foto segnaletica affissa
accanto alla cancellata della porta di ingresso.
Una visita concessa alla stampa, nel braccio della morte del carcere di San Quintino in California, il più popoloso Stato Usa, ha mostrato la realtà di questo ambiente carcerario. Dove 725 condannati a morte per reati gravissimi, assassinii, stupri, aggressioni efferate, attendono il loro appuntamento con la morte. Chiusi nelle loro celle, sorvegliati da guardie armate, spesso ristretti da soli per punizione a seguito della pessima condotta, dentro un recinto di mura altissime vigilate da torri di vedetta. Detenuti incorreggibili, e perciò temuti da tutti. Ombre di uomini che vivono un’attesa interminabile, diluita nel tempo, fatta di rinvii, spostamenti di date. Persino di inganni verso il tempo che scorre: chi si mantiene in forma fisica nel cortile interno, chi scrive a macchina nella propria cella; chi ascolta vecchie radio. Una apparente serenità, persino una traccia della curiosità di vivere, nell’esaltazione dell’assurdo.
Una visita concessa alla stampa, nel braccio della morte del carcere di San Quintino in California, il più popoloso Stato Usa, ha mostrato la realtà di questo ambiente carcerario. Dove 725 condannati a morte per reati gravissimi, assassinii, stupri, aggressioni efferate, attendono il loro appuntamento con la morte. Chiusi nelle loro celle, sorvegliati da guardie armate, spesso ristretti da soli per punizione a seguito della pessima condotta, dentro un recinto di mura altissime vigilate da torri di vedetta. Detenuti incorreggibili, e perciò temuti da tutti. Ombre di uomini che vivono un’attesa interminabile, diluita nel tempo, fatta di rinvii, spostamenti di date. Persino di inganni verso il tempo che scorre: chi si mantiene in forma fisica nel cortile interno, chi scrive a macchina nella propria cella; chi ascolta vecchie radio. Una apparente serenità, persino una traccia della curiosità di vivere, nell’esaltazione dell’assurdo.
(foto repubblica.it) |
Lo stesso luogo dove Jack London
aveva ambientato il suo capolavoro The
star rover (tradotto con il titolo Il
vagabondo delle stelle): la storia del detenuto Darrell Standing che racconta i giorni precedenti la sua impiccagione immaginando delle reincarnazioni con cui vivere altre vite. La
California ha il più grande numero di condannati a morte, che trascorre in
media circa 18 anni tra le sbarre. Una sospensione infinita della vita, un
limbo dove forse si dirada persino la paura di essere giustiziati, pensando che
l’ultima esecuzione risale al 2006 e che oggi molti tribunali dello Stato hanno
interrotto le esecuzioni della pena capitale. E dove peraltro l’incertezza del
proprio destino è legata alla discussione sul miglior “protocollo” da usare per
praticare l’iniezione letale. Il “come morire” è argomento che sovrasta e
svilisce la domanda radicale, che rimane nascosta, sottaciuta, rinviata, del “perché
morire”, per mano dello Stato, in un paese altamente democratico. Il viaggio
alla scoperta del mistero della vita in questo luogo si compone anche di tappe
di involontaria ironia. Su una parete interna di quel braccio della morte, una
mano ignota ha affisso un orologio raffigurante Topolino con la scritta The
Happiest Place on Earth (Il luogo più felice della terra).
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