di
Marina Zinzani
Quando
una donna muore, ci sono dei bambini a casa. Ci sono una madre, un padre, dei
fratelli, delle sorelle. Quando
una donna muore in un certo modo, in quel modo in cui quotidianamente ormai
avviene, la tristezza, il rammarico prendono il sopravvento. Spesso nasce un
giallo: chi è stato, dove ha passato le ultime ore, che tipo di vita aveva,
magari lei non era una donna seria ed aveva una relazione segreta.
Spesso
il corpo non viene neanche ritrovato, la donna scompare semplicemente nel nulla.
Un’altra donna, un’altra morte. Femminicidio è la parola usata, termine nuovo,
sconosciuto fino a qualche anno fa, termine per parlare di violenza, di vite
interrotte, di madri, spose o donne sole che entrano nelle case della gente attraverso
delle foto mostrate in televisione.
Quando
una donna muore, come accade così spesso in questo modo, qualche domanda una
società civile dovrebbe porselo. Si è scritto tanto, parlato in dibattiti, gli
opinionisti proliferano, anche del banale.
Ci
sono dei punti. Madri, altre donne quindi, che non hanno educato i figli maschi
alla sacralità della persona, essenza di ogni educazione. Madri che non sono
riuscite ad inculcare nel proprio figlio maschio il rispetto, l’accettazione
della diversità dell’altro, l’accettazione dei fallimenti anche, e il coraggio
di ripartire. Separazioni che diventano drammi, fino ad uccidere la moglie che
si vuole separare, la donna che si nega, hanno dietro un sedimento di violenza
sotterraneo, e se la violenza fa parte di tutti gli esseri umani, non è
intervenuto un messaggio adeguato, soprattutto nell’età di formazione, per
convogliare gli istinti peggiori.
Poi
ci sono le solitudini, le difficoltà, i sogni.
Quando
una donna muore, o scompare, spesso arriva nelle case la sua foto in abito da
sposa, e questo suscita il pensiero per quel giorno, giorno di chissà quanti
preparativi, quante aspettative, gioie di mille cose, dall’organizzare una
cerimonia nei minimi dettagli, l’abito, l’acconciatura, il ristorante, le bomboniere,
la famiglia attorno che fa festa, le amiche con cui ci sono state confidenze,
risate, in cui si è costruito un
castello in aria fatto di una vita che sarebbe stata lì a venire, meravigliosa.
Perché c’era l’amore.
Dopo
qualche mese, qualche anno, i piatti da lavare, le bollette da pagare, il
lavoro che scarseggia, qualche chilo di troppo, le difficoltà a tirare su i
figli, hanno spesso incrinato quel castello. La vita non era quella meraviglia
che ci si aspettava, in due. La frustrazione, la solitudine, l’analizzare la
propria storia d’amore e vederla meno bella, vederla anche misera, vedere
l’amore che se ne è andato, fa scoppiare tutti gli equilibri. L’uomo, a quel
punto, non è pronto a ripartire da un fallimento.
Quando
una donna muore, i bambini a casa cresceranno con una ferita che mai si
rimarginerà. Forse cercheranno la dolcezza mancante della madre in ogni
persona, diventando fragili, deboli, esposti a delusioni. Per chi le era
accanto, per chi l’amava veramente, rimane un ricordo struggente. E non è
comprensibile, e mai lo sarà, come la violenza verso una donna possa essere
l’unica espressione per esprimersi senza trovare una via civile tra due persone
che si sono frequentate e magari amate.
Quando
una donna muore, il suo volto diventa foto su una rivista, foglio sfogliato
anche in fretta. Aveva tanti sogni, quella donna.
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