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Il tabù della morte e il profumo dei fiori 🥀

Foto di Daniela Barone all'interno dell'hospice di Bolzaneto

(Introduzione a Daniela Barone). Esistono luoghi dove il tempo sembra fermarsi per lasciare spazio all'essenziale. In questo racconto, Daniela Barone ci conduce tra i corridoi dell'hospice di Bolzaneto, dove la cronaca del volontariato si intreccia con il ricordo personale e la saggezza dei bambini. Una riflessione preziosa su come il confronto con il limite possa insegnarci, paradossalmente, a vivere pienamente.

«La morte non è l’opposto della vita, ma parte di essa.» (Haruki Murakami)

(Daniela Barone) ▪️
2022

Tra i fiori di Bolzaneto

Attraverso il giardino per raggiungere l’hospice di Bolzaneto; è pieno di fiori che profumano l’aria, segno che la primavera è finalmente arrivata. Quasi mi dispiace di lasciare questo quadretto idilliaco, mentre salgo i gradini per raggiungere il quarto piano. L’ascensore di nuovo non funziona e sbuffo contrariata mentre tiro fuori la mascherina dalla borsetta. Suono alla porta su cui è affisso un manifesto della Fondazione Gigi Ghirotti che riporta la frase a caratteri cubitali azzurri: “C'È VITA FINCHÉ C'È VITA”.
Nando, che svolge il mio stesso turno del venerdì mattina, mi apre solerte. Intuisco un sorriso amichevole sotto la sua mascherina e contraccambio il saluto festoso. Io sono volontaria solo da qualche mese ma ho imparato le cose principali: fornire le prime informazioni alle famiglie, aprire il citofono, consegnare le chiavi della camera mortuaria e avvisare il personale quando i pazienti suonano il campanello.

Peonie, Iris e Pet Therapy

Sopra le dodici porte delle camere si leggono i nomi di battesimo dei malati che sono però contraddistinti dal nome di fiori. È curioso sentire l’infermiera informare il medico che Papaveri ha passato una notte tranquilla, che Zinnie è peggiorato e che Iris ha richiesto il servizio della parrucchiera. Sono fortunata ad operare il venerdì mattina: è attiva la Pet Therapy e la cagnetta Vitty dispensa leccate affettuose a chi accetta la sua compagnia.
Credo di sapere perché ho accettato questo impegno: dare il mio piccolo aiuto a chi non ha più molto tempo mi riporta indietro a quando il mio papà si stava spegnendo all’hospice di Pavia. Entrare negli ultimi scampoli di vita di queste persone è come accudire mio padre, portare un’acqua a una signora sofferente è come appagare la sete di mia madre inferma.

Il legame con chi se ne va

Si crea spesso un rapporto stretto con le persone più affini a noi. È accaduto con Gianna, la vecchietta sdentata che ha un sorriso per tutti. Mi auguro che il suo male non la porti via proprio durante un mio turno. Ne soffrirei troppo.
Io e Nando leggiamo ogni venerdì le annotazioni sul registro: «Ci ha lasciato il signor…», «Non è più con noi la signora…». Quante volte abbiamo chiuso le porte delle camerette per non turbare i malati con il passaggio delle tante bare. Proprio come mia madre, anch’io mi commuovo mentre abbraccio i familiari e offro loro scioccamente un caffè o un pezzettino di focaccia. Loro ci ringraziano, di cosa non saprei, e addirittura si complimentano con noi.

Dialoghi sul limite

Disegno di un giardino pieno di fiori colorati.

Anche se chiacchieriamo piacevolmente, io e Nando non evitiamo di parlare della morte, un tabù per la maggioranza della gente. Gli ho raccontato di quando mio figlio Francesco aveva visto un passerotto senza vita. Aveva appena cinque anni e mi aveva chiesto: «Mamma, ma tu morirai?». Gli avevo risposto che sì, tutti muoiono, ma sarebbe successo fra cento anni. Finalmente tranquillizzato, si era addormentato.
Sarebbe inevitabilmente giunto il momento in cui avrebbe dovuto imboccare sua madre, passando dal ruolo di figlio a quello di genitore. Questo era accaduto a me nel 2019 con i miei genitori. La sofferenza era stata cruda, ma pian piano avevo elaborato questi grandi lutti. Sappiamo che in questo luogo i morenti sono sempre accompagnati con competenza; nessuno soffre grazie alle cure palliative, spesso misconosciute e criticate.

Due anni dopo: il senso di un congedo


La vita, a volte, impone una sosta forzata per permetterci di guardare il cammino da una distanza diversa. Nel 2024, quella primavera vissuta tra i "fiori" di Bolzaneto trova una nuova, consapevole collocazione nel cuore dell'autrice.

2024

La fine di un percorso

La mia esperienza all’hospice è durata soltanto un anno perché mi sono ammalata. Il volontariato in quella realtà non è stato il motivo della depressione, causata piuttosto da cambiamenti importanti e da un vissuto pesante. Sebbene ora stia bene, non me la sono più sentita di ritornare: ho intuito che il mio percorso era diverso e che quella fase era inevitabilmente conclusa.
Sono però contenta di essere stata testimone commossa di tanti ultimi momenti. Fuori da lì la vita quotidiana scorre automatica nella routine e nel puerile desiderio di eterna giovinezza. Ora, alle soglie della vecchiaia, capisco che la morte censurata e rimossa ci fa male: è proprio il confronto con lei che ci insegna a vivere pienamente.

Una nuova primavera

Oggi la primavera è dentro e fuori di me. I miei fiori sono ora i nipotini che sbocciano alla vita e mi danno una gran gioia. Questo non significa che abbia dimenticato l’altro mondo, quello dei Girasoli e delle Peonie che non sono più su questa terra, come i miei genitori. Loro ritornano spesso nei miei sogni come angeli custodi.
Fra cento anni, come diceva il mio figlioletto, forse li rivedrò e sarà bellissimo. Intanto vivo, giorno dopo giorno, con pazienza e gratitudine.

Foto 1. L'autrice di questo testo, Daniela Barone, all'interno dell'hospice di Bolzaneto.

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