di
Marina Zinzani
(Dedicato
ad Umberto Bindi
C’è
una canzone che parla del mare, l’ha cantata Umberto Bindi. Si chiama “Io e il
mare” (il testo è di Bruno Lauzi) e parla di uno sguardo struggente verso
l’orizzonte, in quel mare che ha visto nascere amori, che ha fatto provare
emozioni, coltivare speranze. Di fronte al mare, tanti anni dopo, l’uomo ricorda
le promesse con disincanto. “La vita mi
ha cambiato” dice.
Il
mare come momento di raccoglimento, di messa a fuoco del proprio tempo, di come
si è vissuto il proprio tempo. Difficile non riconoscersi nelle parole cantate
da Umberto Bindi, difficile non cogliere in quella malinconia velata la
difficoltà di vivere il presente e la fugacità delle emozioni giovanili. Le
promesse non mantenute accomunano gli sguardi di fronte al mare di molti, forse
di tutti. Gli artisti sanno scriverlo.
Il
mare di Bindi diventa struggente, ma in questa apparente sconfitta e sottile malinconia
c’è una vibrazione, i sensi non intorpiditi dall’apatia: il poeta sente, vede,
sa. E in questo suo sentire, vedere, sapere allunga il braccio, e ci indica con
il dito qualcosa, la verità intravista, l’intima essenza del vivere, con un
sottofondo di struggente nostalgia.
Il
testo cantato da Bindi sembra autobiografico. Non dimentichiamo che è morto in
povertà, dimenticato, troppo tardi è arrivata la legge Bacchelli. Uomo
coraggioso che si è tolto la maschera, non nascondendo la propria natura, la propria
inclinazione sessuale, e questo in una società di allora non poteva essere
accettato e portato alla luce senza pagare un duro prezzo. Bindi l’ha pagato
questo prezzo, con l’isolamento, con
l’esclusione.
Come
tanti artisti a cui il mondo ha reso onore troppo tardi, l’emozione che regala fa risentire la sua anima,
malinconica come il mare a volte, vibrante come solo le cose vive possono
essere.
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