Giorgio de Chirico nella Piazza d’Italia: l’enigma
della vita oltre la realtà delle cose
(ap) Edifici ben proporzionati, linee architettoniche
eleganti, addirittura una statua classica al centro della scena. Un equilibrato
impianto di ispirazione rinascimentale compare nella Piazza d’Italia (1954) di
Giorgio de Chirico (1888-1978), il massimo esponente della pittura metafisica
nel primo novecento. Eppure, lo stile non costruisce la veduta di una città
ideale e nella rappresentazione non è riconoscibile alcuna delle piazze
importanti italiane.
La prospettiva è disegnata secondo geometrie semplici
e plausibili che tuttavia, ad uno sguardo attento, rivelano una dimensione
deformata, per le linee di fuga non coincidenti. Lo spazio acquista un aspetto
inedito e lontano dalla realtà quotidiana, perché incredibilmente dilatato nel
tempo, e vuoto.
La piazza è tutta pervasa da un clima di morte,
sottolineato infine dal colore scuro del cielo. Si fa fatica, in questo
contesto, a percepire l’immagine di un treno che sbuffa correndo e di due
uomini che si stringono la mano perché totalmente sovrastata, per dimensione e
imponenza, dalle grandi arcate incombenti degli edifici in prima linea. Il
movimento del treno e delle persone non basta per contrastare la sensazione di
una immobilità assoluta della scena e della mancanza di vita che proviene
dall’intera raffigurazione. La loro presenza non turba l’assoluto silenzio
della scena.
L’esistenza non è dinamismo e velocità, come
immaginavano i futuristi, da Boccioni a Carrà, a Balla, né può essere
rappresentata con un linguaggio pittorico totalmente innovato e sorprendente
che corrisponda a quella primordiale percezione dinamica. Piuttosto è
irriducibile nella percezione umana una sensazione di stasi, di immobilità
assoluta, di invadente silenzio. L’arte non è un grido assordante, ma assomiglia
ad una dimensione imperturbabile e statica. Proprio l’uso degli strumenti
classici della pittura, come quello della prospettiva, evidenzia questa
sorprendente scoperta.
La vita tutta, guardata oltre la sua apparenza, mostra
così il suo profilo più autentico e veritiero, che sfuggiva a prima vista. Le
cose, ben osservate al di là della loro fisicità, sono immobili, pietrificate
nel tempo, quasi congelate. La luce, nella sua irrealtà, colora l’ambiente di
una tonalità innaturale e misteriosa, altamente suggestiva, rivelando nel
profondo l’enigma che è insito nella vita stessa.
La realtà naturale è travagliata, preda di una sofferente convalescenza senza fine. E’ un sole tiepido e senza amore quello che illumina la vita di ciascuno, creando tinte irreali e piene di mestizia. Per la prima volta, è dato vedere il reale oltre di esso, e di percepire quanto risulti per ciascuno inesplicabile e oscuro.
La realtà naturale è travagliata, preda di una sofferente convalescenza senza fine. E’ un sole tiepido e senza amore quello che illumina la vita di ciascuno, creando tinte irreali e piene di mestizia. Per la prima volta, è dato vedere il reale oltre di esso, e di percepire quanto risulti per ciascuno inesplicabile e oscuro.
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