Pere, al vino rosso e
cannella. Il dolce che riporta ai
ricordi amari dell’infanzia
di Marina Zinzani
Mio
padre beveva. Arrivava a casa la sera e noi figli vedevamo già, dal suo tono di
voce, dal colorito del viso, come sarebbe andata la serata.
Avevamo,
io e i miei fratelli, paura di lui. Passava dall’euforia alla rabbia con una
velocità dolorosa. Il tempo di parlare normalmente di una cosa, e l’attimo dopo
tutto cambiava, un lampo scatenava una tempesta, e bisognava solo ripararsi.
Ero
piccola, dovevo ripararmi rinchiudendomi in camera mia, e parlando con la mia
bambola preferita. Compagna di sventure, di solitudini che non dovrebbero
esserci, in una casa dove ci sono dei figli.
Mio
padre beveva e urlava. Tuttora mi dà fastidio la gente che alza la voce, che urla
per un nonnulla. E’ come se da allora, da quegli anni, tanti anni tormentati,
il mio livello di sopportazione delle urla si sia notevolmente abbassato. Non
sopporto chi aggredisce, anche solo
verbalmente, e chi beve.
Siamo
usciti, io e i miei fratelli, da quella casa come si esce da un luogo
bombardato, i volti sono quelli di chi ha visto cose brutte, pensando di non
farcela, volti induriti, bambini che non sapevano più sorridere.
Poi
gli anni passano. Mio padre si è curato, con l’aiuto, la pazienza, la grandezza
silenziosa di mia madre. Sono ricordi quegli anni. Ora sono riposte in cantina,
le cose che ho visto. Sigillate, come si fa con gli scatoloni che si
dimenticano in un angolo buio. Cosa c’era dentro? Non ricordo, il tempo fa
dimenticare, oblio benefico a volte.
Io
ora mi chiedo perché quegli anni, perché mio padre beveva, perché la nostra
infanzia era diventata un’altalena di umori crudeli, con il sottile sottofondo
di tensione, quando lui rientrava a casa.
A
nulla sono serviti gli anni dopo, non a ricucire, non a dimenticare
completamente, non a perdonare. Si può cercare di capire, ma non si perdona
l’avere vissuto un’infanzia e una giovinezza diversa dagli altri, e il giorno
in cui ci si accorge che i propri comportamenti, paure, disagi sono figli di
quegli anni, no, non si perdona. Si vorrebbe tornare indietro, riscrivere
pagine, avere avuto un papà normale. Ce l’ho, adesso, un padre normale, ma i
rapporti sono freddi, forse ho paura che un giorno si risvegli in lui il demone
che vuole bere, bere, bere vino rosso.
Sto
preparando un dolce, me l’ha chiesto mia suocera. Pere al vino rosso e
cannella. Sa che mi piace cucinare, e ha visto questa ricetta su un giornale.
Subito mio marito, con cui sono sposata da due anni, mi ha spronato a farla,
verrà benissimo, tu sei brava, ha detto. Mi ama, mio marito, mi ama. Sa poco e
niente della mia infanzia, con un padre alcolista. E chissà se potrebbe mai
capire.
Di
fatto non ho potuto sottrarmi dal creare questo piatto. I miei suoceri sono a
cena da noi stasera, e la ricetta non è difficile. Si fa bollire del vino rosso
e dell’acqua con dello zucchero, dei chiodi di garofano, della cannella e del
cardamomo, si mettono dentro delle pere e si lasciano a cucinare per un
quindicina di minuti. Poi si tolgono, il liquido si lascia bollire ancora per
un po’ fino a farlo restringere, e si aggiunge sopra.
Ho
fatto fatica a cucinare questo piatto. Mentre guardavo quel liquido rosso, il
vino che bolliva, che bolliva e saliva su per le narici col suo sapore
speziato, sentivo quasi nausea. Maledetto vino. Anima cattiva, che cambi le
persone.
Vino
di un momento felice, un piatto creato dai tanti sapori. Dimenticare e
riscrivere. Vino: il vino si abbina bene alle pere, meglio se con la cannella.
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