Annullata la decisione del Politecnico di Milano di
usare solo la lingua straniera: il dibattito su identità
culturale e internazionalizzazione
di Angelo Perrone *
No ai corsi universitari svolti soltanto in lingua inglese: la decisione
del Consiglio di
Stato, che ha confermato una precedente pronuncia
del Tar della Lombardia, pone termine ad una diatriba durata circa 6 anni tra
il Politecnico di
Milano e un gruppo nutrito di professori contrari
alla riforma deliberata nel 2012.
La materia del contendere non era tanto che venisse utilizzata una lingua straniera (sempre l’inglese) per lo svolgimento di corsi di laurea magistrale e di dottorato, quanto che ciò avvenisse in modo esclusivo, con una totale estromissione dell’italiano nello studio delle materie insegnate.
La materia del contendere non era tanto che venisse utilizzata una lingua straniera (sempre l’inglese) per lo svolgimento di corsi di laurea magistrale e di dottorato, quanto che ciò avvenisse in modo esclusivo, con una totale estromissione dell’italiano nello studio delle materie insegnate.
La pronuncia è riferita solo a questa vicenda, ma ha un significato più
generale per le argomentazioni svolte, tutte in linea con altra decisione
analoga della Corte
Costituzionale nel 2017 sempre sulla stessa materia.
Il rapporto tra lingua nazionale e straniera, la tutela dell’identità della
nazione rispetto ai processi di internazionalizzazione sociale e culturale, la
connessione tra strumento linguistico e materie insegnate: sono questi i temi principali
affrontati nelle decisioni, ispirate ad una interpretazione delle norme in
conformità dei principi costituzionali su cui è fondata la Repubblica.
Dante Alighieri |
Tutto ha inizio nel 2012 quando il Politecnico decide che, a partire dal
2014, tutti gli insegnamenti (lauree magistrali e dottorati) debbano svolgersi
solo in lingua inglese dando applicazione a quanto prevede, sull’uso delle
lingue straniere, la legge Gelmini del 2010. Contro quella decisione insorge un
gruppo di circa 100 professori che propone ricorso al Tar lombardo il quale nel
2013 dà loro ragione. L’Ateneo, supportato dal Ministero, si appella al
Consiglio di Stato il quale solleva una questione di legittimità costituzionale
delle norme della legge Gelmini.
La decisione della Consulta arriva nel 2017. La legge Gelmini sull’uso
delle lingue straniere nei nostri atenei non può dirsi incostituzionale, ma
deve essere interpretata nel senso che non possa escludere in modo totale l’uso
di quella italiana. Del resto era difficile pensare che potesse essere
applicata in modo così distorto. Sì dunque all’inglese, ma unitamente a corsi e
insegnamenti comunque svolti in lingua italiana. A seguito di questa decisione si
giunge all’attuale pronuncia del Consiglio di Stato a conferma della decisione
di primo grado: la contestata delibera milanese è definitivamente annullata,
intanto però sono già intervenuti cambiamenti di rilievo che destano allarme.
Leonardo da Vinci |
In questi 6 anni, a seguito dell’iniziativa del Politecnico, si è prodotta
una modifica sostanziale dell’insegnamento: l’offerta didattica in italiano è
costantemente diminuita tanto che tutti i corsi di dottorato sono già svolti in
lingua inglese, che su 45 indirizzi magistrali solo 3 sono rimasti in italiano
e solo 15 sono bilingui, mentre gli altri sono esclusivamente in inglese;
soltanto quelli di laurea triennale sono ancora in italiano.
La delibera era motivata dall’intento di favorire l’internazionalizzazione
dell’istituto, dunque per attrarre studenti stranieri, e per favorire
l’apprendimento nelle materie scientifiche in cui l’inglese ha larghissima
applicazione. Il disegno di attirare studenti dall’estero era certamente lodevole,
ma vi era un evidente scarto tra il problema sollevato e la soluzione
prescelta, dato che questa comportava la totale espulsione dell’italiano in
tutto l’ateneo. Una conseguenza – l’eliminazione della lingua madre da una
scuola nazionale – paradossale e incongrua, infatti mai praticata negli
istituti stranieri. E soprattutto gravida di ripercussioni e controindicazioni.
Non a caso la proposta sollevò nel 2013 la vibrata protesta di linguisti,
storici, scienziati. Fu organizzato un convegno sul tema “Lingua, cultura, libertà”:
tra i promotori l’Accademia della Crusca, la Treccani, l’Accademia dei Lincei,
la Società Dante Alighieri; relatori come Tullio De Mauro, Dario Fo.
Galileo Galilei |
Favorire l’arrivo degli stranieri: era l’altro obiettivo della contestata
riforma. Interessante prospettiva, che però era da approfondire. Di quali
stranieri si tratta e quali sono le loro esigenze ed aspettative? I “cervelli”
che vogliono venire a studiare in Italia non immaginano di farlo in inglese e
su testi scritti in questa lingua, ma immergendosi nella storia e nella cultura
del paese prescelto, allo scopo di confrontarsi con realtà diverse da quelle
dei paesi di origine, anche utilizzandone la lingua. Cosa che accade appunto
all’estero dove, per frequentare le scuole, si pretende la conoscenza della
lingua straniera.
Sarebbe singolare che l’accesso universitario nel nostro paese possa
avvenire senza disporre di alcuna conoscenza dell’italiano e utilizzando solo
l’inglese. Lo studio in Italia avverrebbe in un contesto culturale di totale
estraneità linguistica rispetto al paese ospitante.
Poi, aiutare gli italiani, con l’apprendimento dell’inglese, a trovare
lavoro all’estero: questo lo scopo ulteriore della riforma. Certamente, la
conoscenza della lingua straniera può essere di aiuto nel trovare lavoro in un
mondo che si internazionalizza sempre più, ma è desolante la prospettiva di
programmare, per i nostri ”cervelli”, soltanto la strada della “fuga all’estero”,
come soluzione di vita.
Perché formare i giovani (solo) per farli partire? Dovremmo invece favorire
la loro permanenza nel paese e affrontare la sfida dell’occupazione con il
maggior numero di strumenti, non solo l’inglese, ma anche un buon italiano.
Giuseppe Ungaretti |
L’uso esclusivo dell’inglese, a prescindere dalle buone intenzioni, si
espone ad altre incongruenze. Per esempio, in tema di accesso al mondo
universitario (sarebbero danneggiati gli studenti ed anche gli insegnanti che
non conoscono l’inglese) e soprattutto sul versante della qualità dell’insegnamento e
della specificità dei suoi contenuti, nelle materie che esprimono al massimo
livello la peculiarità dell’ingegno italiano, come in storia dell’arte,
nell’architettura, nel diritto, nelle lettere.
Difficile pensare che non vi sia una correlazione tra l’uso delle lingua
italiana e la particolarità di queste discipline, rispetto alle quali l’impiego
di altre lingue rischia di semplificarne il contenuto e di sminuirne il fascino
irresistibile. Proprio per questo motivo sarebbe il caso di ricordare che
Galileo Galilei scelse di insegnare in italiano – non nell’inglese del tempo
che era il latino - proprio per una maggiore “vicinanza” ai suoi studenti, e al
loro contesto sociale.
Pensieri e orientamenti espressi dal mondo della cultura italiana per
contrastare il disegno di rendere esclusivo l’uso dell’inglese: del tutto
analoghi gli orientamenti elaborati nel 2017 dalla Corte Costituzionale: «L’obiettivo
dell’internazionalizzazione deve essere soddisfatto […] senza pregiudicare i
principî costituzionali del primato della lingua italiana, della parità nell’accesso
all’istruzione universitaria e della libertà d’insegnamento”.
Rita Levi Montalcini |
L’esclusività della lingua straniera estromette indiscriminatamente
l’idioma ufficiale della Repubblica da interi rami del sapere e comporta un
illegittimo sacrificio del principio del “primato della lingua”. Riduce la
lingua italiana ad una posizione marginale e subordinata facendo venire meno la
funzione che le è propria, quella d’essere «vettore della storia e dell’identità
della comunità nazionale».
Non si tratta soltanto di un semplice orgoglio linguistico, ma di
preservare quell’approccio unico e particolare che l’italiano (come ciascuna specifica
lingua) è in grado di offrire per la conoscenza di determinate materie, e della
storia stessa di questo paese nella originalità della sua dimensione
spirituale.
La lingua italiana regala risorse espressive di straordinaria efficacia,
per la sottigliezza dei concetti, e per la complessità dei ragionamenti. Sa
destreggiarsi nel poco spazio, e affrontare l’ignoto. Mescola i generi, muta
fisionomia, alterna i toni. Sempre a suo agio tra sponde diverse del pensiero:
dal basso all’alto, da destra a sinistra, dal bianco al nero, dalla luce
all’oscurità, attraverso l’incertezza dei toni che sfuggono ad ogni
definizione. Non di rado raggiungendo le vette straordinarie della mente e
dell’animo, vertici di lucidità e di chiarezza, di disperazione o di felicità:
tessere uniche della spirale che avvolge la vita di ciascuno.
Italo Calvino |
La lingua italiana è un patrimonio da conservare e valorizzare, non da
trascurare. Il linguaggio sia orale che scritto mantiene un ruolo essenziale
nel processo formativo a tutti i livelli e in tutti i gradi perché è
strettamente connesso allo sviluppo cognitivo della persona. La lingua è un
alimento imprescindibile della mente, e dunque di quella particolare modalità
di apprendimento che si forma in una comunità identificandone il carattere
unico.
Conoscere il mondo, studiarne i fenomeni, sviluppare dei ragionamenti,
attraverso lo strumento linguistico. Farlo con quella particolare strumentazione,
che è data da una lingua specifica, dall’italiano appunto, distingue gli uni
dagli altri senza contrapporli, favorendone la convivenza in una comunità più
articolata; rende prezioso e perciò insostituibile il contributo di ciascuno,
racconta le radici e la storia di un intero popolo e dei singoli.
* Leggi anche La Voce di New York:
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