La
difficile arte di fare satira: oggi meglio non scontentare nessuno
di
Paolo Brondi
La satira appare oggi meno raffinata, e scarsamente
critica. Il lettore ride in modo diverso rispetto ai tempi in cui circolavano i
giornali umoristici, diffusi fin dall'inizio del '900.
Uno dei primi è stato il Travaso. Costituiva un brillante affresco di vita italiana e
nessuno passava indenne dalle sue pagine: da Giolitti a Mussolini; da Togliatti
a De Gasperi. Vi collaborarono Trilussa, Lorenzo Stecchetti, Guglielmo
Guastaveglia, in arte Guasta, Luciano
Folgore, Umberto Onorato, Giuseppe Russo, in arte Girus, V. G. Rossi. Negli anni del fascismo il Travaso dovette adeguarsi al clima del regime e moderò la sua
satira. Cominciò allora il declino delle vendite e il giornale scomparve
definitivamente nel 1966.
Simile sorte conobbero altre testate come Candido, Becco Giallo, Pasquino, Marc
'Aurelio. L'uomo qualunque, di
Giannini, ebbe vita dal 1944 agli anni 50, sostenuto da lettori, specie nel
meridione, che seguivano quasi esclusivamente questo tipo di stampa, contagiati
dal pressante e appassionato invito dell'autore a sorridere, a dimenticare,
almeno per un attimo, le lacrime e il sangue versato.
Oggi tutte quelle testate sembrano far parte della
preistoria. Le cause sono molteplici: mancanza di idee, autori che presi dal
ritmo produttivo evitano reali bersagli delle strutture scricchiolanti della
nostra società; la tv che monopolizza i gusti del lettore-spettatore offrendo
un tipo di umorismo di più gradevole consumo e senz'altro conformista; la
riduzione elitaria della satira politica nei teatri o nei cabaret.
Vero è anche il fatto che gli editori preferiscono far
giornali che non scontentano nessuno e gli umoristi preferiscono il lavoro ben
retribuito della TV e, talvolta, del cinema, ai magri compensi di qualche
giornale dalla querela facile.
Eppure, fin dai tempi antichi ricercata e rinomata era
la funzione della satira. Osserva, ridimensiona mette alla berlina quel che di
deteriore c'è nel costume del tempo, preferendo la supremazia dei significanti
rispetto a significati che sempre s'aggirano sul vivere il peso della vita di
ogni giorno, senza un'evasione, senza un sorriso, o sulla malinconia destata da
mondo quadrato e balordo di ogni strisciante o affermato totalitarismo.
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