La
distinzione tra bene e male risente dei cambiamenti sociali e politici: che ne
rimane della coscienza?
di
Cristina Podestà
(Commento
a Sensibili, come bilance, PL, 30/1/18)
La
contrapposizione tra bene e male è molto soggettiva, legata senza dubbio a ciò
che abbiamo appreso fin da piccoli dai nostri educatori, genitori, ma anche
docenti, figure di riferimento, che hanno costruito il nostro super-io.
Presso
gli antichi era bene ciò che per noi non lo è più ed, altrettanto, succedeva
con il male. Cambiando la società, e l'epoca, viene valutata diversamente ogni
azione dell’individuo sottoponendola al personale e/o collettivo giudizio del
momento. La politica sottomette l'aggettivo buono alle proprie esigenze e ci
rende partecipi socialmente di quella valenza che essa stessa impone al
termine.
L'esempio
di Hitler è validissimo: ciò che rientrava nei canoni dell'arianesimo andava
bene, era bene, il resto no. E chi si discosta dal bene va punito. Ma chi
stabilisce il bene? Ovviamente la politica che permea e plasma di sé la
società. Pertanto, a seconda della politica del momento, accettiamo come buono
quel che una volta avremmo disprezzato o contrastato, mentre ci appare negativa
una cosa che era data per certamente buona, magari solo poco tempo prima. In
tale ottica, superficiale appare la nostra esistenza e modulata su ciò che
altri ci impone.
E
dunque ha ragione Fredrick Nietzsche affermando che è buono chi ha capacità di fare la
cosa che nel momento presente è accettata conformemente come buona, che è adeguata
ai tempi e si adatta allo standard, che si inserisce in modo lineare nella
contingenza dell'azione.
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